PALERMO. "L'idea dei Forconi fu un'intuizione. Nacque all'uscita dal cinema Odeon dove c'era stata una grande assemblea, alla presenza dell'allora ministro Saverio Romano. A quell'incontro invitammo una delegazione di pastori sardi per capire come erano riusciti a dare voce al loro disagio. Un pecoraio della provincia di Messina, Peppe Scandurra che con Mariano Ferro è l'asse del movimento, esclamò: 'Forconi', chiamiamoci così". Padre Giuseppe Di Rosa, prete di Avola, (cittadina cuore della rivolta dei braccianti agricoli del 2 dicembre '68 con due morti e 48 feriti) ritenuto l'anima e l'ispiratore dei Forconi, ripercorre a ritroso la storia di un movimento nato nel maggio 2011 nelle campagne tra Ragusa e Siracusa e che sta trainando quella che viene definita da molti "la rivolta del popolo siciliano".
"Quella dei Forconi è solo una sigla - dice il sacerdote, in prima linea al corteo di stamattina a Palermo - In realtà il movimento ha radici lontane. Nasce a metà degli anni Novanta, col problema delle quote latte. Io, assieme ad altri sacerdoti come don Giuseppe Amore di Modica e don Stefano Trombatore a Rosolini, cominciammo a raccogliere il disagio degli allevatori. La prima riunione si tenne in aperta campagna, non eravano più di cento. I contadini non avevano nemmeno i soldi per una pizza, spesso stavamo ore e ore a discutere, senza mangiare". Col passare del tempo, il fronte divenne sempre più ampio. "Venimmo a sapere che nelle province di Agrigento e di Caltanissetta c'erano gruppi di contadini che raccoglievano il grano e coltivavano le pesche in grande sofferenza - ricorda don Di Rosa - Stabilimmo dei contatti con Gino Scibetta a Riesi e con Ciccio Aiello, ex sindaco di Vittoria". Ma poi la politica, le gelosie, la voglia di leadership, tolsero mordente al movimento mentre il malessere a causa della crisi economica aumentava.
"Trovammo un interlocutore in Titti Bufardeci che divenne assessore regionale all'Agricoltura", prosegue il sacerdote, al quale la diocesi di Noto ha assegnato la pastorale del lavoro. I gruppi spontanei andarono avanti tra alti e bassi, si costituirono "gruppi in rete". "Avevamo molte pressioni: le organizzazioni tradizionali, i sindacati, la politica - soottolinea il prete, studi sociologici a Parigi - Ricordo un episodio emblematico. Dopo una grande assemblea a Caltanissetta con mille persone, ci spostammo ad Agrigento, dove ci fu messo a disposizione un enorme salone, solo più tardi scoprimmo che lo aveva messo a disposizione la Regione".
Padre Di Rosa è sicuro che il movimento non sarà un fuoco di paglia. "La gente è disperata - conclude - ci sono agricoltori che hanno dovuto vendere ettari di terra per dare da mangiare alle famiglie, persone che hanno migliaia di euro di debiti con le banche, i trattori pignorati. E' una rivolta popolare per la sopravvivenza".