Martedì 30 Aprile 2024

Le verità scottanti di Tranchina

PALERMO. Lo aveva detto in tempi non sospetti, Masino Buscetta, poi lo ha confermato pure la Cassazione: «Da Cosa nostra si esce solo in due modi, da pentiti o da morti». E anche Fabio  Tranchina , l’autista dei Graviano fermato martedì dalla Dia per concorso in strage e associazione mafiosa, nonostante la totale assenza di notizie o di indagini recenti sarebbe rimasto legato alla «famiglia» e ai suoi affari. Almeno fino al 16 aprile scorso, quando ha provato a uscire da pentito per un paio di giorni, salvo poi tornare subito sui suoi passi. Ora si apprende che è stato un «piccolo» malinteso a fargli decidere di parlare coi magistrati. 
Tranchina  infatti doveva essere semplicemente interrogato dai pm di Firenze (che indagano sulle stragi del ’93), ma quando ha visto il decreto di perquisizione e l’invito a presentarsi, con tanto di riferimento alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, ha pensato che fosse in arresto e ha deciso di cominciare a parlare spontaneamente. Fino a quando non è stato raggiunto dal cognato Antonino Lupo e dalla moglie Giovanna (che sono pure fratelli del boss Cesare), che lo hanno convinto ad interrompere precocemente il suo rapporto di collaborazione.
Entro 48 ore la convalida Tuttavia quei due giorni si stanno rivelando fondamentali per capire tante cose. Intanto sul presente — in particolare sull’attuale organigramma del mandamento di Brancaccio — ma anche sul passato. Perché nella sua trasferta toscana  Tranchina  ha avuto il tempo di riempire un paio di verbali che potrebbero dare un grosso contributo alle inchieste sulle stragi del ’92 (condotte dal pool di Caltanissetta coordinato da Sergio Lari e dall’aggiunto Nico Gozzo) e accelerare altre indagini in corso a Palermo. Anche se dovesse ritrattare tutto, cosa che comunque non ha ancora fatto, alla fine le sue dichiarazioni potrebbero comunque rivelarsi spunti importanti per gli investigatori. Ieri in Procura l’aggiunto Ignazio De Francisci ha incontrato il procuratore di Caltanissetta Lari, mentre i sostituti palermitani Roberta Buzzolani, Lia Sava e Caterina Malagoli hanno presentato la richiesta di convalida del fermo al gip Maria Pino, che da ieri ha 48 ore per decidere.
Negli uffici della Dda sono arrivati anche gli investigatori della Squadra mobile, che stanno conducendo indagini sul «feudo» dei Graviano. Il timore è che adesso le dichiarazioni di  Tranchina  possano mettere in allarme capi, quadri intermedi ma anche semplici leve del mandamento. A partire proprio da Cesare Lupo, cognato di  Tranchina , indicato dallo stesso pentito non più pentito come l’attuale reggente di Brancaccio. Lupo è a piede libero dal 2007, dopo avere scontato una condanna per mafia ed estorsioni, e secondo il cognato sarebbe stato nominato direttamente da Filippo e Giuseppe Graviano, che nonostante il regime carcerario di massima sicurezza sarebbero riusciti a comunicare la decisione. La strage e i telecomandi Nei due provvedimenti di fermo emessi in tutta fretta dai magistrati di Palermo e Caltanissetta, costretti a correre ai ripari dopo che i colleghi di Firenze hanno disposto il rilascio di  Tranchina , sono citati alcuni stralci degli interrogatori «concessi» dall’ex autista dei Graviano, ma anche quattro verbali riempiti da Spatuzza il 3 luglio 2008, il 29 ottobre 2009, il 22 giugno 2010 e il 23 settembre 2010.
Nelle sue dichiarazioni, Fabio  Tranchina  (arrestato a 24 anni nel 1995, condannato e poi tornato in libertà nel 1999) ha detto di appartenere alla famiglia di Brancaccio e di avere continuato a svolgere attività significative («anche se ultimamente ero un po’ defilato»), di cui conosce l’attuale organigramma e la sua articolazione. Il mafioso, è scritto nel fermo di Caltanissetta, ha riferito «circostanze estremamente rilevanti in merito alla ricostruzione della strage di via D’Amelio ed ai soggetti coinvolti», parlando anche dei «congegni elettronici necessari a far brillare l’esplosivo» e dell’«attività di supporto logistico in favore di Graviano in occasione dei sopralluoghi»: «Ho pure accompagnato Giuseppe Graviano — ha detto — in un villino a Triscina dove quest’ultimo si era incontrato con Matteo Messina Denaro per recarsi poi a compiere l’attentato di via D’Amelio». Gli altri delitti  Tranchina  ha parlato pure di omicidi compiuti e di altri solo tentati, di riunioni di mafia alle quali avrebbe partecipato, ma soprattutto di alcuni delitti ai quali avrebbe dovuto partecipare personalmente «su ordine dei fratelli Graviano». «Dovevamo uccidere i pentiti Giovanni Drago e Totuccio Contorno», ha raccontato  Tranchina  ai magistrati, «ma anche il vice questore Rino Germanà». Entrambi i progetti fallirono: il primo perché non si crearono i presupposti, il secondo per la prontezza di riflessi di Germanà, che riuscì a sfuggire ai colpi esplosi da Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano.  Tranchina  avrebbe svolto in quella occasione un ruolo di appoggio. Da martedì  Tranchina  è in isolamento in una cella dei Pagliarelli, dove sembra avere perso la sua iniziale loquacità. I legali: è stato costretto

«Questa vicenda ha molti punti oscuri», dicono gli avvocati Tommaso Scanio e Giovanni Castronovo. Secondo i legali  Tranchina  («che dopo avere scontato la sua pena si era rifatto una vita lavorando in una ditta che realizza stazioni di servizio») sarebbe stato «bloccato in un albergo a Palermo con un’amante e costretto a dire anche cose di cui non sapeva nulla». «I familiari non hanno saputo niente — continuano — tanto che avevano presentato una denuncia per sequestro di persona. E quando lui ha deciso di non parlare più, gli hanno pure fatto pagare il conto dell’albergo in cui lo tenevano: 350 euro».

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