«Ho cominciato per caso, non avevo la vocazione come altri attori di quegli anni come Lino Ventura o Burt Lancaster o Jean Gabin. Mi ero arruolato, ero tornato dall’Indocina e non avevo ancora un lavoro. Mi salvò una giovane attrice conosciuta in quegli anni, Brigitte Auber. Nel ’57, senza un film venni con lei per la prima volta a Cannes. Quando mi chiesero se volevo fare l’attore dissi che non ero capace, non avevo fatto alcuna scuola. Ma il regista del mio primo film, «Godot», Yves Allegret mi diede la regola che mi hanno ripetuto anche i grandi e che poi ho seguito per tutta la mia carriera: non recitare, guarda, ascolta, sii te stesso. Non fare l’attore, vivi. Ecco da quel momento ho vissuto tutti i miei ruoli».
Alain Delon si asciuga gli occhi per tutto il tempo quella sera del 19 maggio del 2019 sul palco del Festival di Cannes dove riceve la Palma d’oro alla carriera, piange per gli applausi scroscianti che arrivano dalla sala, per le persone che gli vengono in mente mentre parla, tutte ormai scomparse. «Non volevo questa Palma d’oro, non spetta a me ma ai registi che mi hanno diretto, a Visconti, a Rene Clement, a Melville, a Jacques Deray. Loro non ci sono più e io la accetto per loro», aveva detto ancora l’attore premiato alla carriera.
Brigitte è la prima delle donne che Delon nomina, cita anche Romy Schneider, Monica Vitti, si commuove parlando di Annie Girardot. Tanti amori ma non solo, Alain Delon prima ancora che attore fa i conti con il suo fascino che è parte fondamentale della sua popolarità e della sua carriera: «Devo tutto alle donne, ho fatto questa carriera per loro», ammette. In sala uno spezzone di Plein Soleil (Delitto in pieno sole), il thriller in cui interpreta Mr. Ripley, rilancia le immagini del fascino irresistibile del giovane Delon. Si riaccendono le luci, lui interrompe il rituale dell’incontro per alzarsi in piedi e dire alla platea: «E ora come fate a guardarmi come sono adesso?».
Racconta Delon di come Visconti proprio dopo aver visto quel film lo convocò a Londra, su suggerimento della sua agente di allora Olga che insisteva per proporre il suo cliente allora sconosciuto, e di averlo ricevuto mentre stava allestendo il Don Carlo al Covent Garden. L’incontro fu felice e il regista italiano lo scelse per «Rocco e i suoi fratelli», il primo film con cui Delon cominciò una carriera internazionale e d’autore. L’attore piange, «non posso smettere scusate», dice citando la Girardot.
Romy Schneider, il grande amore della sua giovinezza con cui a cavallo degli anni Sessanta ha formato la coppia più bella del cinema, resta per lui un tabù, giusto un accenno a quando la impose per La Piscina («Era in un momento di crisi, dissi o la prendete o non si fa il film»), meglio non parlarne, meglio ricordare altro. Come «il mio cane che mi seguiva sempre sul set del Gattopardo» e infatti è nel film di Visconti , come «la nouvelle vague che mi aveva messo al bando, ma io sono andato avanti lo stesso», come l’esperienza americana «bella ma la Francia mi mancava troppo».
In quella occasione a Cannes lo aveva accolto la protesta femminista nei confronti di un attore che aveva ammesso di aver avuto atteggiamenti violenti con le donne, notoriamente vicino alla destra. Proteste che il delegato del festival Thierry Fremaux aveva rigettato con una battuta: «Gli diamo una Palma d’oro onoraria, non un Nobel per la pace. Delon, bisogna comprendere, è un uomo di un altra epoca, di un’altra generazione».
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