La realtà ce la dicono in un orecchio: «Si sta meglio a casa, si paga la metà d’affitto, ci sono i nonni che crescono i tuoi figli, si mangia meglio...».
Insomma, Pio e Amedeo si chiedono (ridendo) se basta accontentarsi, per trovare la felicità. E da qui parte il loro film, «Belli ciao», diretto dalla mano sicura di Gennaro Nunziante (lo sceneggiatore e regista di Checco Zalone, per citarne solo uno) uscita a Capodanno, in 500 sale come ogni buon blockbuster che si rispetti, e in barba alla pandemia che sta dimezzando sempre di più gli spettatori di cinema e teatri.
«I cinema sono sicuri, si va solo con la mascherina, non possiamo manco più goderci il popcorn: … andate al cinemaaaa». La commedia di Pio e Amedeo è nata la sera del 7 marzo del 2020, quando i tg rilanciavano ovunque la notizia del lockdown: tv e siti si riempirono in un fiat delle immagini dei giovani di stanza al nord per studio o lavoro, che correvano verso le stazioni. Allora furono madri, padri e anziani nonni meridionali a ospitare figli e nipoti. Finiti i primi mesi disorientati, ecco che l’emorragia ha di nuovo invertito il percorso, e i giovani meridionali sono rientrati al nord...
«È la nostra storia in fondo, è meglio Pio che si è trasferito al Nord o Amedeo che è restato a Foggia? – ridono i due comici ai microfoni di Rgs -. Nessuno dei due ha ragione e nessuno ha torto, ma ad un certo punto si incontrano e succede di tutto. E’ un film di chi si pone delle domande, a partire dall’accento. Perché chi va fuori perde l’accento?». Intervistati da Marina Mistretta - in onda sabato 1 gennaio alle 9 e alle 16 e in replica domenica 2 gennaio alle 8 e alle 18 – Pio e Amedeo raccontano questa nuova avventura, a cui hanno lavorato anche la palermitana Lorena Cacciatore, Giorgio Colangeli, Nicasio Calabrese e Rosa Diletta Rossi; e si preparano al ritorno sul palco, con Felicissima sera, a maggio all’Arena di Verona, ma anche a aprile al Palaflorio di Bari, al Pala Alpitour di Torino, al Mediolanum Forum di Milano e al palazzetto dello sport di Roma.
«È un momento particolare, in cui ci chiediamo come sarà il futuro prossimo – riprendono – Non è un film su chi sta male dove sta, comunque». Limitare la fuga dei cervelli? «Noi siamo un po’ come i cani quando li porti al parco, se li lasci liberi, corrono ovunque. Il cinema è stato il nostro parco. Alla fine della pandemia in tanti non sono più tornati a Milano, hanno preferito restare in smart working: questo è un film che racconta le scelte diverse che ciascuno di noi può prendere».
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