«Dove alleno io aumentano i ricavi e si vincono trofei». Simone Inzaghi lo aveva detto, nel settembre 2022, per togliersi qualche sassolino dalle scarpe e per allontanare etichette poco simpatiche sul suo conto. D’altronde, dopo lo scudetto gettato al vento nel 2021/22 nel testa a testa col Milan, nel mondo Inter erano non pochi a voler salutare il tecnico piacentino. E anche durante il difficile 2022/23, le 12 sconfitte in campionato avevano rimesso in bilico il futuro di Inzaghi sulla panchina nerazzurra. Poi, però, la storia per l’allenatore è cambiata grazie soprattutto all’impresa sfiorata in Champions League nella finale contro il Manchester City. Una sconfitta che ha rilanciato le ambizioni sia dell’ex Lazio sia della squadra, un ko che è stata la benzina per arrivare al trionfo che è valso lo scudetto numero venti e la conseguente seconda stella.
Un tricolore che profuma quindi di rivincita, per Inzaghi. Rivincita verso i detrattori, certo, ma anche rivincita personale. D’altronde, in lotta per lo scudetto lui c’era già stato anche prima dell’Inter, con la Lazio nella stagione 2019/20, quella fermata dal Covid e dal lockdown. Al momento dello stop a marzo, dopo 26 giornate, i biancocelesti erano a -1 dalla Juve capolista, salvo crollare alla ripresa a giugno, arrivando poi solo quarti seppur a 5 punti di distacco dai bianconeri scudettati. Anche in quella occasione il mirino finì su Inzaghi, per molti allenatore più da gara secca che da campionato; il rimprovero era non riuscire a tenere alta l’attenzione del gruppo per una intera stagione.
Poi arrivò l’addio alla Lazio, burrascoso tanto quanto il suo esordio in panchina tra i grandi (era scelto all’ultimo per sostituire Bielsa dopo il rifiuto dell’argentino), e lo sbarco all’Inter, con l’ingrato compito di sostituire Conte, fresco di scudetto e di fuga da Milano. L’unica cosa in comune con il predecessore è il modulo, il 3-5-2 a cui né uno né l’altro fanno a meno se non in situazioni di emergenza. Ma è l’interpretazione che è totalmente diversa: fisica e aggressiva quella di Conte, tecnica e più libera quella di Inzaghi.
La grande differenza, però, è nella rosa a disposizione. Inzaghi nella sua prima stagione non vede nemmeno Hakimi, ceduto a fine giugno al Psg, e poi oltre a perdere Eriksen dopo i problemi al cuore saluta anche Lukaku, che scappa al Chelsea. Certo, poi trova Dumfries, Calhanoglu e Dzeko, ma non è la stessa cosa: eppure va vicino allo scudetto e fa un figurone in Champions, uscendo dopo una doppia sfida equilibrata col Liverpool. Nell’estate 22 ritrova Lukaku, pesca Onana e va sul sicuro con Acerbi-Mkhitaryan: in campionato va subito in affanno allontanandosi dal Napoli poi campione, perde 12 volte ma alla fine riesce ad entrare tra le prime quattro, ma il capolavoro è in Champions, dove viene sconfitto solo in finale dal City di Guardiola dopo aver eliminato il Milan nel derby in semifinale.
Si arriva così all’estate 2023, caratterizzata dal tira e molla Lukaku, che alla fine non torna a Milano ma si accasa alla Roma. Inzaghi oltre al belga perde anche Onana, Skriniar, Brozovic e Dzeko ma non fa una piega, sostituendoli coi vari Sommer, Pavard, Frattesi, Arnautovic e Thuram. Cambiano i protagonisti, ma non l’interpretazione, che anzi si fa ancora più solida e convincente: l’Inter gioca e vince, mostra il suo lato migliore nel tiki-taka inzaghiano, alternando palleggio fin dal portiere a giocate in verticale che esaltano non solo il rendimento dei giocatori ma soprattutto il pubblico di San Siro, che si spella le mani per applaudire i nerazzurri. La marcia verso il ventesimo scudetto è così trionfale, passando anche dallo storico derby che vale la matematica certezza.
Inzaghi entra nella storia cucendo sul petto dell’Inter la seconda stella, il suo sesto trofeo a Milano che gli fa superare un certo José Mourinho tra gli allenatori interisti più vincenti, portandosi a -1 da Mancini ed Herrera. E anche restituendo un «torto» fatto al mondo Inter da calciatore, visto che era in campo il 5 maggio 2002 con la maglia Lazio, quando i nerazzurri crollarono (anche per un gol dello stesso piacentino nel 4-2 finale) ad un passo dal traguardo scudetto. Oltre 20 anni dopo, Inzaghi ora entra definitivamente nella storia dell’Inter. Stavolta dalla parte giusta.
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