Arrigo Sacchi piange, e non riesce a parlare. «Era un amico geniale e generoso», dice il tecnico del Milan degli Invincibili, al telefono con l’Ansa, pochi minuti dopo che la notizia della morte di Silvio Berlusconi è diventata pubblica. L’arrivo a Milanello in elicottero, la scelta del tecnico del Parma, poi la cavalcata con i campioni olandesi - Rijkaard, Gullit, Van Basten - e quelli italiani - Maldini, Baresi, Tassotti -. Il calcio come «bel giuoco», come ha ricordato con affetto il presidente Fifa, Gianni Infantino, ma anche come metafora politica del consenso, dalla «discesa in campo» alla sfida elettorale a Luigi Spaventa, al suono di «quante Coppe Campioni ha vinto?».
Lui, il presidente di un Milan indimenticabile, ne vinse cinque, con diversi allenatori, e l’era di Sacchi è quella che ricordano tutti, tifosi, avversari, appassionati nel mondo. Anche per questo, oltre che per il rapporto personale, il tecnico di Fusignano fatica a parlare della scomparsa «dell’amico geniale e generoso, al quale devo tutto. Quando mi prese gli dissi “lei o è pazzo o è un genio”. Visti i risultati, datemi voi la risposta...», afferma senza trattenere il pianto. «Ha cercato di cambiare questo Paese difficile, formato da individualisti. Lui invece pensava di insieme e vedeva lontano. È stato molto amato, ma anche molto odiato».
Sotto la guida di Sacchi, il Milan scoprì la via del successo e in un trentennio, fino alla cessione nel 2017, ha raccolto ben 29 titoli e trofei, facendo di Berlusconi «il presidente più vincente nella storia del calcio italiano», come sottolinea la Figc che ha disposto 1’ di silenzio, fino a domenica, su tutti i campi per ricordarlo. «È stato un vincente appassionato e innovativo - sottolinea il numero 1 federale, Gabriele Gravina - un visionario». È anche per questo che l’omaggio del calcio va dagli amici, come Adriano Galliani, agli avversari, come il Real Madrid. «Dispiace», si limita a dire Dino Zoff, dimissionario da ct azzurro per quella critica del 2000 alla mancata marcatura di Zidane. «Il resto è passato. Ma se dite che ha cambiato il calcio, rispondo non so in che senso: ha vinto tanto, come ha vinto tanto la Juve».
Ma quella vittoria attraverso il gioco - piacere a tutti era il vero segreto - è stata una missione riuscita, come riflettono gli omaggi dei rivali storici, come l’Inter o il Real Madrid, che ricorda «il leggendario presidente del Milan e l’attuale presidente del Monza». La nuova avventura con la squadra biancorossa lo ha visto ancora al fianco di Galliani, che affranto piange «l’amico, il maestro di tutto, la persona che mi ha cambiato la vita per oltre 43 anni». La squadra brianzola, rilevata nel 2018, è salita per la prima volta in A grazie al Berlusconi, regalando ai tifosi un sogno e, come sottolinea Infantino, «nei sogni le dimensioni non contano. Possono essere anche contenuti in una piccola città».
I trionfi del Milan, dopo l’era Sacchi, sono stati firmato da due giganti del calcio italiano, Fabio Capello e Carlo Ancelotti. Il tecnico goriziano tiene a sottolineare «la forza e il carisma» dell’uomo e del presidente, uno che «ben poche volte ha sbagliato negli acquisti, tra giocatori e allenatori», mentre l’allenatore del Real ricorda «l’uomo ironico, leale, intelligente, sincero, fondamentale nella mia avventura sportiva». Filippo Galli, altro giocatore simbolo del rossonero, lancia allora un’idea: «Dedichiamogli il nuovo stadio del Milan».
«È stato un grande uomo di sport, molto orientato alla vittoria - chiude il ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi -. Quando è uscito dal Milan lo ha fatto con dolore. Poi ha ripreso con ambizione e umiltà dal Monza, una sfida che sembrava non alla sua altezza e l’ha portata alla sua altezza».
Caricamento commenti
Commenta la notizia