Giovedì 26 Dicembre 2024

Parla Zamparini-imprenditore: puntare tutto sul turismo

PALERMO. Il suo osservatorio è sempre stato in una posizione privilegiata. Palermo prima l’ha scrutata con il distacco di chi arriva da lontano, poi con l’affetto di chi qui si sente a casa. Maurizio Zamparini da Sevigliano del Friuli per tutti è il presidente del Palermo, l’uomo che ha riportato il grande calcio in una città che non l’aveva visto per trentuno anni. Ma Zamparini è anche un imprenditore che a Palermo ha diversificato le sue attività. Cento milioni investiti per costruire una squadra di serie A di élite, altrettanti per mettere in piedi il centro commerciale allo Zen. Il tutto in otto-nove anni, un periodo che è servito a Zamparini per conoscere Palermo e la sua gente. Con difetti e virtù. «E dico che la gente di Palermo è unica - osserva l’imprenditore friulano - e aggiungo anche che merita più di quello che ha. Palermo non può essere decontestualizzata dal resto d’Italia, ma qui le conseguenze della crisi economica sono davvero gravi». Zamparini, questa città può avere ancora un futuro?
«Dipende dai palermitani. Ci vorrebbero dei nuovi Vespri siciliani “creativi”, mi piacerebbe che Palermo diventasse il laboratorio di una rivoluzione culturale. Da qui potrebbe partire la riscossa per cambiare la città, la Sicilia e l'Italia con una politica del fare e non della vessazione come è adesso».
Ma la gente chiede soprattutto lavoro...
«E perché, Palermo non è in grado di produrlo? Certo che lo è, bisogna solo rimboccarsi le maniche, abbandonare il pessimismo che è nel Dna del palermitano e partire all’attacco».
In che modo?
«Con l’orgoglio che vi contraddistingue. Se penso ai tanti palermitani che hanno avuto successo all'estero o nel Nord Italia anche come imprenditori, non riesco a spiegarmi perché a Palermo non ci sia una grande classe imprenditoriale».
Basta solo l’orgoglio per creare posti di lavoro?
«No, bisogna dimenticare la parola assistenzialismo perché ha rovinato Palermo e la Sicilia. Nessuno ha mai pensato ad investire, l'unico sogno è stato il posto fisso. Ai giovani do un consiglio: andate a lavorare dieci ore al giorno anche come scaricatori di porto. Con un piccolo capitale in tasca e con le idee chiare, poi rischiate. Se si pensa sempre e solo alla scrivania della Regione o del Comune c’è il rischio di fare una brutta fine».
Messa così è una bella bacchettata ai politici siciliani che si sono spesso «divertiti» a creare posti di lavoro nella pubblica amministrazione in cambio di clientele...
«In questa città e in Sicilia si è sbagliato tutto, il rimedio alla disoccupazione è stato il posto alla Regione, al Comune o addirittura il ricorso sfrenato al precariato. Io adesso farei un check-up con alcuni paesi stranieri, penso a Germania, Giappone, Austria. Cercherei di capire come hanno affrontato il problema della disoccupazione, poi cercherei di capire quanto gente lavora nel pubblico. Se lì ne servono, ad esempio, dieci per fare un certo tipo di lavoro, non vedo perché qui le stesse mansioni debbano farle in cento... Andando avanti di questo passo c’è il rischio di guerra sociale perché il latte della mucca è finito».
Da imprenditore del Nord, che tipo di problemi ha riscontrato nel suo lavoro a Palermo?
«In Sicilia e a Palermo i problemi sono gli stessi che ci sono nel resto d’Italia, però qui la burocrazia è asfissiante e ancora più complicata che in Veneto o in Lombardia. Le leggi locali la rendono impossibile, con i miei collaboratori ci siamo resi conto che spesso non viene recepita certa normativa nazionale e tutto diventa più difficile. L’autonomia siciliana così rischia di essere un intralcio più che un vantaggio».
Un esempio?
«Il centro commerciale dello Zen aprirà con quattro mesi di ritardo perché mi hanno imposto una variante alle opere di urbanizzazione interne rispetto al progetto originario. Lo sapete che significa?».
Si spieghi...
«Significa che i palermitani che lavoreranno nel centro perderanno quattro mesi di stipendi, ovvero qualcosa come cinque milioni. Mi viene da piangere!».
Bella storia. E i politici palermitani che fanno? L’aiutano?«I politici palermitani mi hanno sempre voluto aiutare, ma sono prigionieri di lacci e lacciuoli. Poi ci sono quelli che stanno dell’opposizione, facciano pure il loro “lavoro” ma sposino anche la causa di chi vuole investire a Palermo. L’investitore non è uno speculatore, è uno che rischia soldi suoi e che ovviamente cerca un utile. Ma porta ricchezza e crea posti di lavoro».
Nei suoi anni a Palermo ha mai ricevuto intimidazioni mafiose?
«Non conosco la mafia di Palermo. Allo Zen ho investito cento milioni e non ho mai ricevuto alcun tipo di pressione, né alcun genere di intimidazione. Semmai sono stato avvicinato per qualche posto di lavoro, ma quello avviene anche nel Nord Italia. Certo, un imprenditore che si piega al racket è tartassato due volte: dallo Stato che chiede continuamente soldi per le tasse e dalla criminalità».
Quali sono i settori su cui puntare per la rinascita?
«Palermo può puntare forte sul turismo, ma deve essere un turismo intelligente capace di attrarre anche investitori stranieri. Poi bisogna sfruttare le energie alternative e infine l’agricoltura».
E lei cosa farà di concreto per aiutare Palermo e i palermitani?
«Io sto creando un movimento di gente comune che vuole un'altra Italia, che lotta contro i torti di Equitalia che è peggio degli strozzini: un milione e 700 mila italiani hanno la prima casa ipotecata perché non riescono a pagare le cartelle esattoriali. Ho già raccolto un plico con cinquemila casi, lo Stato così crea disoccupazione e nel frattempo gli evasori restano impuniti. Presto con il mio movimento faremo una grande manifestazione a Roma, la seconda voglio farla a Palermo. Tremonti e Berlusconi stanno distruggendo l'Italia, questa classe politica va mandata a casa al più presto».

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