Non salite su quel ring. La porta che molti non vorrebbero aprire, forse perfino il Cio, è un incontro di pugilato tra l’italiana Angela Carini e l’algerina Imane Khelif. E ancora prima, un match verbale tra chi attacca le Olimpiadi per la presenza di Imane, esclusa dai mondiali perché il suo Dna ha un cromosoma maschile, chi si dice preoccupato e chi difende la scelta. Domani, primo agosto, l’annunciato incontro dei pesi welter, e lo sport azzurro resta col fiato sospeso.
I colpi sono già partiti, prima di mettere i guantoni, e al momento non ci sono né vincenti né perdenti ai punti. Il Coni ha chiesto al Cio che «i diritti di tutti gli atleti siano conformi alla carta olimpica e ai regolamenti sanitari», ovvero alle regole sulla complicata questione del gender. La boxe italiana, già sotto choc per le eliminazioni dei suoi azzurri di punta, è preoccupata dal pugno di pietra della Khelif, incrociata da Carini nei collegiali di Assisi, e che la messicana Brianda Tamara definì «peggio di quelli di tanti sparring partner uomini». La stampa algerina si indigna, perché l’Italia parla di transgender, ma la polemica politica cominciata ieri, alla conferma Cio che Khelif era ammessa al torneo come l’altra pugile dal testosterone alto, Lin Yu Ting di Taiwan, prosegue e alza i toni.
Ieri il tweet antitransgender olimpici di Jk Rowling - da Harry Potter e Imane Khelif - e l’indignazione di Matteo Salvini, oggi l’intervento del ministro per la Famiglia, Eugenia Roccella. «Desta preoccupazione la partecipazione di due pugili transgender ai Giochi, dopo che non erano stati ammessi in altre competizioni internazionali», le sue parole. «Domani per Angela Carini non sarà garantita l’equa competizione», dice a Parigi il ministro dello Sport, Andrea Abodi, mentre dall’Italia insorge contro il Cio tutto il centrodestra. «Non è un’atleta transgender, ma un intersex», replica gaynet
Al Comitato olimpico internazionale, intanto, non interessa sapere se l’algerina è transgender o iperandrogina come Caster Semenya, la fondista sudafricana che diventò un caso mondiale. Da parte sua, il Cio aveva chiuso ogni questione già sei giorni fa, quando dal pugilato italiano erano emerse le prime perplessità al sorteggio: per noi, la risposta Cio, Khelif è donna. E qui emerge l’intrigo delle regole. Nel 2023 la federazione mondiale escluse l’algerina dalla finale mondiale perché l’esame del Dna rivelò la presenza del gene XY, proprio degli uomini: «Garantiamo l’equa competizione». Posizione ribadita ancora oggi dall’Iba, con un comunicato che misura il peso della polemica (oltre che della rivalità col Cio): nessuna rivelazione sul tipo di test effettuati nel 2023, la differenziazione dalle regole di Losanna, e la considerazione che l’ammissione «solleva seri interrogativi sul principio dell’equa competizione e della salvaguardia degli atleti». Il Cio però si basa sul livello del testosterone, l’ormone della forza maschile, unico criterio - a suo dire - per definire se un’atleta donna è avvantaggiata, anche nelle Olimpiadi dell’inclusione. In sostanza, allo sport mondiale non interessa se sei uomo o donna, se hai scelto una transizione come Lia Thomas, l’americana del nuoto, o Laurel Hubbard, neozelandese e prima atleta trans ai Giochi, tre anni fa. Interessa solo se da donna hai troppa forza maschile per la tua avversaria. Una scelta ad esempio contestata da campioni senza tempo come Martina Navratilova, una vita a difesa dei diritti omosessuali.
Ma il livello del testosterone di Khelif è da donna, per il Cio. «Non posso che adeguarmi alle regole delle Olimpiadi, si limita a dire Carini: per lei la preoccupazione del giorno primo è un lusso illecito, da nascondere. E dallo staff del pugilato si assicura che sarà sul ring. «Ci affidiamo al Coni, aspettiamo la risposta del Cio», allarga le braccia il presidente della federboxe, D’Ambrosi. Che in realtà è già scritta da tempo: l’unico giudizio che conta, domani, è quello dei cinque arbitri a bordo ring.
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