È da poco spuntata l’alba, la musica elettronica martella il deserto e centinaia di ragazze e ragazzi ballano scatenati, felici e ignari del terribile destino che li attende: la morte, per almeno 260 di loro. Chi sta facendo l’ennesimo video in una notte di festa, al rave party per celebrare la Natura nella festa ebraica del Sukkot, punta l’obiettivo verso l’orizzonte.
Minacciosi si stagliano in cielo i parapendii guidati dai miliziani di Hamas armati fino ai denti. Passano pochi minuti, alle 6 e mezzo del mattino si scatena l’inferno: prima le sirene antiaeree, poi le esplosioni dei razzi. Sulla spianata della festa arrivano decine di uomini armati, a bordo delle moto, dei furgoni dei blindati. C’è chi afferma di aver visto almeno 50 miliziani.
Nessuno fa in tempo a capire, sembra una tragica riedizione del Bataclan. Partono colpi a raffica ovunque, si scatena la fuga di massa verso le auto, ma i terroristi non lasciano scampo a nessuno e sparano «contro chiunque», senza pietà. È il massacro del Nova Music Festival, il Tribe of Nova, evento di musica elettronica del genere trance. Mega festa con tre palchi e decine di dj in cartellone, uno spazio camping, uno per la ristorazione in mezzo al deserto del Neghev, a due passi dal confine con la Striscia preso di mira da Hamas.
«Ho visto almeno 200 cadaveri sul posto», racconta un paramedico israeliano, Yaniv, miracolosamente sopravvissuto alla strage. «È stato un massacro, non ho mai visto nulla di simile in vita mia. Un agguato, le squadre di terroristi ci aspettavano davanti alle uscite di emergenza, altri falciavano chi correva verso il parcheggio e chi si era nascosto nei bagni», dice ancora.
Lui è riuscito a salvarsi: «Mentre sparavano a tutti e tutto mi sono nascosto tra gli alberi. Dopo tre ore mi sono spostato finché non ho incontrato i nostri agenti, che mi hanno portato di nuovo lì perché avevano bisogno di un medico. Tutti i miei amici sono stati uccisi, e sono stato io a doverne constatare la morte».
Un’altra sopravvissuta, Esther, è riuscita ad arrivare incolume alla propria auto, ma una volta partita nel caos è stata tamponata. È saltata a bordo di un’altra macchina guidata da un ragazzo. Un istante e il giovane alla guida si accascia, colpito a morte da un proiettile. Esther si è finta morta accanto al cadavere del suo salvatore, per ore fino all’arrivo dei soldati. Ortel invece ha strisciato in un aranceto «con le pallottole che mi fischiavano sopra la testa», mentre un ragazzo ha continuato a correre senza sosta, «gli alberi erano pochi, ci davano la caccia uno per uno tra i rovi, c’erano morti ovunque».
Bilanci ufficiali ancora non ci sono, al party «c’erano almeno tremila persone», incerto il numero dei morti, dei feriti e di quelli presi in ostaggio. Tra questi c’è Noa, la ragazza sequestrata e portata via in motocicletta, o Shani, la giovane tedesca sparita al rave poi mostrata dai miliziani di Hamas a bordo di un pickup come fosse un trofeo, incosciente e seminuda. «Allahu akbar», gridano alla folla, mentre uno le solleva la testa prendendola per una ciocca dei capelli. Lei, la cui unica colpa è stata quella di andare a ballare.
«Condividiamo il dolore delle persone scomparse e uccise», hanno scritto sui social gli organizzatori di Tribe of Nova. «Stiamo facendo del nostro meglio per aiutare le forze di sicurezza, mantenendo un contatto costante e siamo nella zona prendendo parte alle ricerche per localizzare i dispersi». In serata un portavoce della organizzazione rabbinica Zaka, preposta al recupero di cadaveri nelle aree che sono state teatro di attentati, ha riferito che finora sono stati trovati 260 corpi, «ma le ricerche non si sono ancora concluse». Sui social è un diluvio di appelli, di foto di ragazze e ragazzi che ancora mancano all’appello e che familiari e amici sperano di poter ritrovare. Magari non in quel mare d’orrore.
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