PALERMO. C i sono un sacco di animali che si sono estinti, altri sono prossimi a farlo. Ma sono pochi quelli che scompaiono perché la Natura col suo spietato meccanismo dell'evoluzione, ha deciso così. Il resto si estingue (o lo farà presto) per colpa nostra perché L'Homo Faber produce scorie e si sta giocando la casa, cioè il Pianeta vivente, rischiando di trasformarlo in Pianeta morente. Non senza contraddizioni. C'è forse animale meno a rischio di estinzione della vacca? Allora è bene che si sappia che ogni vacca del pianeta quando rumina nutre una popolazione batterica in grado di emettere 500 litri di metano al giorno. Un gas serra considerato dannoso quanto la CO2, l'anidride carbonica. Se non di più. Dice Bruno Massa, zoologo, ordinario di entomologia agraria all'Università di Palermo: «Forse non tutti sanno che, tra i tanti settori dell'attività umana, tra i più inquinanti ci sono l'agricoltura e la zootecnia. Il motivo? Semplificando, mangiamo troppa carne. In Italia il consumo è raddoppiato negli ultimi anni. Ma la tendenza è mondiale. Ma carne vuol dire bestiame, bestiame vuol dire pascoli, pascoli vuol dire deforestazione. E sarà sempre peggio. Oggi siamo più di sette miliardi. Di questi un miliardo muore di fame, un miliardo mangia così tanto da non riuscire a consumare le risorse di cui dispone e produce sprechi. Nel 2050 saremo oltre nove miliardi: non c'è motivo di pensare che la situazione migliorerà». Professore Massa. Vuole spiegare perché una specie si estingue? «Ovviamente i motivi possono essere molti. Ma, quali che siano, una specie si estingue quando gli individui che la compongono diminuiscono a tal punto da innescare un trend demografico negativo: muoiono più esemplari di quanti ne nascono. Detto ciò c' è l' estinzione naturale che è la conseguenza dei cambiamenti del Pianeta nel corso delle diverse ere geologiche. Ma questo meccanismo ha tempi lunghissimi che si misurano in milioni di anni. Ben diversa la situazione da quando è arrivato l' uomo, l' unico essere vivente in grado di modificare l' ambiente che lo circonda». È come se un enorme laboratorio automatico finisse nella mani di uno scienziato pazzo? «Diciamo che la metafora rende l' idea. Ma sbaglia chi pensa che le conseguenze di questo intervento siano recenti, dalla Rivoluzione Industriale in poi. Certamente il meccanismo ha un andamento esponenziale. Ma, per citare un caso che ci riguarda da vicino come siciliani, già i romani erano intervenuti pesantemente sul nostro territorio realizzando una grande deforestazione per fare dell' Isola il Granaio dell' Impero». Che cosa sta succedendo in Italia? «Per esempio ci sono insetti dei quali non si ha notizia da oltre cento anni. Nella Pianura Padana sono scomparsi uccelli che nidificano a terra, specie granivore insettivore. Tutto ciò come conseguenza dell' agricoltura intensiva. Questo favorisce il fenomeno delle estinzioni locali: specie che scompaiono ma solo in alcune zone. Un altro caso è quello della Puglia dove negli ultimi anni c' è stata una notevole crescita dell' agricoltura. Sono stati modificati ettari ed ettari di terreno che prima erano pascoli. Sono state impiegate macchine potentissime che riducono sassi in polvere per potere impiantare oliveti e vigneti. Così popolazioni vegetali e animali uniche sono scomparse. È il caso della gallina prataiola che, se non proprio scomparsa, è vicina all' estinzione. Resta, invece, in Sardegna. E non a caso. L' Isola ha un terzo degli abitanti che ha la Sicilia a parità, quasi, di estensione. La minore pressione antropica rallenta processi che invece sono più veloci dov' è maggiore. Sotto questo profilo la Sardegna si può considerare una sorta di Arca di Noè». E la Sicilia? «Negli ultimi anni siamo stati testimoni di andamenti climatici certamente fuori media. I livelli delle precipitazioni hanno accelerato i normali processi di erosione. E l' opera dissennata dell' uomo ha favorito un livello di dissesto idrogeologico inaccettabile. Vero è anche che in Sicilia negli ultimi tempi è cresciuta la forestazione ma la qualità non è eccezionale per le finalità di protezione dall' erosione. Sono state impiantate conifere come pini e abeti invece delle latifoglie che sono quelle tipiche delle foreste siciliane. Dunque querce, roveri e lecci che sono più ricchi della fauna associata: più insetti e più uccelli. In questo modo si impoverisce la diversità. Sta scomparendo il capovaccaio, un uccello imparentato, diciamo così, con l' avvoltoio. È un uccello migrante e sta subendo la stessa sorte che sembrava riservata al Grifone che però si sta reintroducendo sembra con successo. Un altro uccello quasi scomparso è la Calandra, un tempo famosa per la bellezza del suo canto. Il sospetto è che ha falcidiare questa specie siano stati i fertilizzanti agricoli sotto forma di pallini colorati che la calandra scambia per le granaglie di cui si nutre». Ogni tanto c' è l' effetto opposto come nel caso dei cinghiali «Sì. Una vera tragedia. La specie che sta facendo tanti danni è stata introdotta dai forestali dopo averla "importata" da Cosenza. Sono animali inadatti ai nostri terreni. Sono responsabili di grandi danni alle zone coltivate. Distruggono piante bulbose come i ciclamini. Ma anche i daini fanno danni, avidi come sono delle gemme degli alberi forestali. Chi li controlla? Paradossalmente si potrebbe dire "menomale che c' è il bracconaggio"». E poi c' è il mare. Si parla tanto di "pesci alieni", di tropicalizzazione del Mediterraneo. «È vero. Sono già arrivate, e continuano ad arrivare, specie in grado di alterare l' equilibrio esistente. Provengono in prevalenza dal Mar Rosso e dall' Oceano Indiano e adesso arrivano in maggiore quantità grazie all' allargamento del Canale di Suez. Il Mediterraneo è un mare chiuso, così le nuove specie ne estinguono altre. Del punteruolo rosso, il killer delle palme, ormai tutti sanno ma adesso pare si stia spostando dalle palme alle sterlizie. E torna la cimice dei letti che nel nostro Paese era estinta. Ma sbaglia chi pensa che a riportarla siano stati gli immigrati visto che è stata trovata nei letti degli alberghi a 5 stelle». Tutto ciò detto, lei ritiene che organizzare momenti di incontro come la Conferenza sul Clima di Parigi in corso, possano essere luoghi nei quali trovare soluzioni praticabili? «Sono piuttosto scettico al riguardo. Quella di Parigi è solo l' ultimo di una serie di incontri organizzati negli ultimi anni. Diventa una specie di "mercato dell' offerta di riduzione di emissioni" dove si patteggiano quote che di solito non vengono rispettate e che vedono la resistenza di realtà in via di sviluppo verso qualsiasi ipotesi che li possa rallentare. E stiamo parlando di paesi come la Ci nao l' India, governi che hanno il problema di nutrire circa due miliardi di persone».