ROMA. Più di mezzo miliardo di bambini vive in aree con alta incidenza di inondazioni, 160 milioni in zone ad altissimi livelli di siccità. Sono loro i più esposti ai cambiamenti climatici. E sono pure i meno colpevoli. Anzi, non lo sono per nulla». Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, spiega le ragioni dell' appello - «i numeri impongono di agire adesso! » - che l' organizzazione Onu per l' Infanzia ha lanciato in queste ore ai grandi della Terra, domenica e lunedì a Parigi per la ventunesima conferenza delle Nazioni Unite sulle variazioni del clima. Unicef suona la sveglia ai leader mondiali. Basterà? «Ogni giorno, nel pianeta, 16 mila bambini muoiono per cause prevenibili e curabili. Malattie, carestie. Evidentemente legate pure ai cambiamenti climatici che, peraltro, sono in peggioramento. Se continua così, gli effetti saranno devastanti e sembra irragionevole non fare nulla. Già oggi, i bambini a rischio sono quasi 700 milioni. Tra loro, oltre 300 milioni si trova in Paesi in cui più della metà della popolazione guadagna meno di 3 dollari al giorno. Più di 270 milioni, invece, vivono in territori con servizi igienico -sanitari inadeguati». Qual è l' aspettativa di vita? «Trentacinque anni, quarantacinque al massimo. La mortalità infantile è molto alta. Ciò è anche dovuto a problemi strettamente connessi alla siccità, ad esempio gravi casi di denutrizione. O alle inondazioni che fanno collassare i servizi igienici, cioè l' acqua potabile viene a mancare e la condivisione di virus si moltiplica. Stiamo notando, peraltro, il ritorno di alcune malattie, come il morbillo, e il diffondersi della diarrea che nei bambini al di sotto dei cinque anni risulta spesso fatale». Quali sono le aree più colpite? «Tutto il Sud-Est Asiatico, attraversato dalle piogge monsoniche, e l' Africa subsahariana. Un luogo -simbolo, certamente le Filippine: sono continuamente colpite da calamità ma le case vengono costruite e ricostruite sempre nelle stesse zone. Altrove, invece, vi sono Paesi a desertificazione crescente come Sudan o Burkina Faso dove risulta sempre più difficile salvare i più piccoli». Italia «immune»? «No. Abbiamo visto nel tempo come il nostro Paese sia sempre meno immune al pericolo di alluvioni. Non abbiamo avuto vittime, anche perchè i sistemi di allerta e di allarme sono molto più strutturati, ma registriamo sempre più spesso la chiusura di scuole. No, non siamo al riparo. Ecco perchè abbiamo fatto appello ai leader mondiali alla vigilia della conferenza di Parigi». Per evitare la catastrofe ambientale, i grandi della Terra si riuniscono ormai con sistematica frequenza. Siamo già alla ventunesima conferenza sul clima. Perchè non si arriva mai a una soluzione praticabile e praticata? «Per lo stesso motivo per cui ci sono guerre che non finiscono più... Sembra chiaro che gli interessi particolari di alcuni Stati -chiave prevalgono sulle esigenze comuni, quindi le soluzioni mancano». A proposito di guerre. Infanzia sempre più «a rischio globale»? «Direi proprio di sì, considerato che oggi ben 250 milioni di bambini vivono in aree di conflitto. Uno su dieci in zone di conflitto grave. Guardiamo solo alla guerra siriana: oltre quattro milioni di persone, la metà di loro minorenni, hanno lasciato le proprie case per andare in Paesi limitrofi. Non mi pare una cosa normale. Così come non lo è il fatto che dall' inizio dell' anno nel Mediterraneo sono morti 700 bambini. Altrettanti, poi, chiedono ogni giorno asilo in Europa: in totale, siamo già a 215 mila. Sono numeri impressionanti!». Le proposte dell' Unicef? «A proposito dei cambiamenti climatici, ovvio dire la riduzione dei gas -serra. In nazioni come le Filippine, però, servono anche interventi strutturali e infrastrutturali per mettere in sicurezza il territorio. In queste aree, Unicef fa di tutto in casodi emergenza: ripristinare le reti idriche, i collegamenti, le strade. Il nostro lavoro, comunque, è anche quello di sensibilizzare i governi...». Si moltiplicano le emergenze, diminuiscono le risorse? «È tutto sottofinanziato, non ce la facciamo più! Soprattutto questo vale in Siria, in Medio Oriente. A chi dice che i migranti andrebbero mandati tutti a casa, vorrei allora ricordare che bisognerebbe preoccuparsi dei fondi mondiali per la cooperazione. Invece, vengono continuamente tagliati. Attualmente, Unicef ha il 30 per cento in meno delle risorse che servirebbero per gestire, ad esempio in Libano e Giordania, i tanti campi d' accoglienza attualmente aperti. Forniamo personale, scuole, cibo, servizi igienici. Se non ci aiutano, nessuno si sorprenda del fatto che milioni di persone si mettano in cammino per scampare a fame, sete, epidemie, guerre».