PARIGI. Quando di sabato mattina sei in giro in una delle città più famose del mondo e intorno a te c'è solo silenzio, qualcosa non va. E come potrebbe essere altrimenti? A qualche chilometro da dove sono io, si sta facendo la conta dei morti, si stanno riconoscendo padri, madri, figli che non ci sono più. Parigi è sotto assedio e io sono qui.
Dicono che la prima volta di tutti a Parigi sia indimenticabile. La mia lo sarà di certo. Ieri, venerdì 13 (se pensate che questa data qui l'abbiano presa solo come una coincidenza , sbagliate di grosso), il giorno in cui sette attacchi terroristici hanno messo in ginocchio questa città, io ero qui. Sono qui. Ed essere qui in questo momento non vuol dire soltanto essere in mezzo a qualcosa di storico, pur nella sua distorsione, ma vuol dire anche essere spaventata, confusa, triste, distrutta. Interrogativi, certo, ma anche un terrore che si sente a pelle, distintamente
Per l'esattezza, il mio albergo si trova a due chilometri e mezzo dal Bataclan, meno di quindici minuti a piedi. Stamattina qui in Rue Richer non si muove una foglia, il telefono nella hall squilla e l'impiegata mi dice: "In tanti stanno disdicendo le camere, soprattutto italiani, è normale che tutti abbiano paura. E poi beh, si, ieri era venerdì". E poi aggiunge: "Abbiamo cominciato l'anno con l'attentato a Charlie Hebdo e lo chiudiamo con questo, siamo in balia di qualcosa che non possiamo prevedere, e forse qualcuno nemmeno lo vuole prevedere".
La mia famiglia ed io ieri sera eravamo a cena fuori, qui in Rue Richer. Dopo una giornata meravigliosa trascorsa in giro tra Trocadero, Tour Eiffel e Louvre. La Parigi che tutti amano, quella città forse stereotipata che abbiamo in mente e che non penseremo mai possa colorarsi di sangue all'improvviso. Abbiamo avuto la notizia dai parenti e dagli amici che ci hanno (giustamente) sommersi dalle chiamate. E quando ho chiesto al ristoratore cosa fosse successo, mi ha detto minimizzando: "Sì, c'è stata una sparatoria al nord, vicino allo stadio, ma niente di serio". Nessuno, ancora, aveva capito che la "sparatoria al nord, vicino allo stadio" era stato un colpo di kalashnikov all'umanità tutta.
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