ROMA. «Jihadi John prima mi ha costretto a ballare il tango con lui. Poi mi ha buttato a terra e ha cominciato a prendermi a calci». Torture, umiliazioni e pratiche grottesche quelle subite da Daniel Rye Ottosen durante la prigionia nelle mani del boia britannico dell'Isis. Il fotografo danese di 25 anni è stato rapito nel 2013 e rilasciato a giugno dell'anno scorso - poco prima che i tagliagole dello Stato islamico cominciassero a decapitare tutti i loro ostaggi - dopo che la famiglia ha pagato un riscatto di quasi 3 milioni di euro raccolti grazie ad una campagna su internet.
Nella sua prima intervista da quando il suo incubo è finito, Ottosen ha raccontato alla tv statale danese DR la sua vita con Jihadi John. «Vuoi ballare?», gli chiese un giorno Mohamed Emwazi costringendolo a ballare il tango insieme con lui. «Mi ha fatto girare per tutta la prigione e all'improvviso mi ha buttato a terra e ha cominciato a prendermi a calci e pugni». Nei suoi 400 giorni di prigionia, il fotografo ha raccontato
di essere stato più volte picchiato e appeso al soffitto con delle catene. La decisione di pagare il riscatto ha suscitato molte polemiche, ma la famiglia ha sempre risposto di non essersi pentita.
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