Mercoledì 25 Dicembre 2024

Test Invalsi, la Sicilia agli ultimi posti

Banco di scuola

La scuola ha una doppia missione: fornire le conoscenze e valutare il livello di apprendimento. Eppure le vicende della «buona scuola» — come si suole definire la recente riforma del Governo Renzi — hanno fatto emergere un paradosso: la scuola italiana valuta, ma non gradisce essere valutata. Nessuno vorrebbe (e potrebbe) inseguire un Paese concorrente, rincorrendolo sul fronte delle busta paga; significherebbe un arretramento insostenibile per i lavoratori italiani. Se quindi la sfida non si gioca più sul costo della manodopera ma piuttosto sui saperi, è da questi e da chi li somministra che occorre partire. È di tutta evidenza lo stretto rapporto di interdipendenza che lega la qualità degli insegnanti con quella degli studenti. Se un Paese non seleziona accuratamente il corpo insegnante e non ne valuta regolarmente i livelli di competenza, non dobbiamo poi stupirci se, come riferisce il Sole 24 Ore, «le competenze numeriche e letterarie degli insegnanti italiani sono più basse fra i 23 Paesi esaminati in un recente studio». Non è un giudizio precostituito sul corpo insegnante italiano, ma è certo un dato che bisogna tenere in grande considerazione. Eppure la reazione alla «timida» introduzione nella scuola italiana di tecniche di valutazione ha scatenato un putiferio; eppure basta considerare che qualunque valutazione, sia pure imperfetta, risulta sicuramente più efficace che il nulla. È una storia antica: la scuola italiana ha mostrato sempre una certa idiosincrasia verso la valutazione del merito nell’insegnamento. Non è un caso se l’unico contratto esistente in Italia, tanto nel pubblico che nel privato, che esclude progressioni di carriera sia proprio quello degli insegnanti. La posizione di preconcetta chiusura, non sappiamo quanto estesa tra gli insegnanti italiani, verso qualunque modello meritocratico ha finito con il riflettersi in un diffuso atteggiamento di ostilità, non sappiamo quanto strumentale, degli studenti. La storia dell'Invalsi nel nostro Paese è emblematica e merita un approfondimento perché testimonia quali ritardi si stiano accumulando nella scuola italiana e quanto gravose differenze territoriali. Invalsi è un ente di diritto pubblico, sottoposto alla vigilanza del ministero della Pubblica Istruzione che, in base alle leggi vigenti ha il compito di «valutare la qualità complessiva dell'offerta formativa italiana». Il Rapporto 2015 riporta le rilevazioni sugli apprendimenti (Italiano e Matematica) condotte a maggio (II e V classi della scuola primaria e II classe della scuola secondaria di secondo grado) ed a giugno (III classe della scuola secondaria di primo grado). I dati contenuti nel Rapporto confermano marcate differenze territoriali che tendono ad acuirsi al crescere dei livelli scolastici. Se esistono infatti più italie sotto il profilo del reddito, dei servizi pubblici ed in generale dell'economia, il Rapporto Invalsi, mostra anche nell'istruzione una faglia profonda, che separa il Nord dal Mezzogiorno e relega la Sicilia in una posizione marginale. In concomitanza con i test Invalsi di maggio scorso, numerose sigle sindacali hanno proclamato scioperi per contrastare la riforma della scuola poi varata dal Parlamento italiano; la partecipazione delle classi ai test è stata fortemente differenziata nel Paese, con un'astensione tutta concentrata nel Centro-Sud, dove nella scuola secondaria di secondo grado ha raggiunto anche punte molto elevate, in particolare in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria. Nelle quattro regioni meridionali la partecipazione ai test ha interessato il 74% delle scuole della Puglia, il 72% della Sardegna, il 66% della Campania e, appena il 30% della Sicilia. Il dato siciliano precipita al 12% di partecipazione nei licei, al 10% negli istituti tecnici ed al 7% negli istituti professionali. In queste regioni, osservano i tecnici Invalsi, l'astensionismo risulta più evidente negli istituti professionali e meno nei licei, sintomo anche questo che «le ragioni della mancata partecipazione alla rilevazione sembrano aver trovato una presa più forte in quei segmenti dell'istruzione in cui, mediamente, i livelli di competenza degli allievi sono meno elevati e la condizione sociale meno favorevole; due tratti che, per altro, caratterizzano, in generale, le regioni meridionali e insulari del nostro Paese». Da una verifica dei punteggi emersi dai test nella primaria, con riguardo allo studio della lingua italiana, la regione che registra il migliore risultato in assoluto, 213 punti, è la Valle d'Aosta, mentre al contrario la Sicilia ottiene, con un punteggio di 185, il risultato più basso in Italia. Parimenti nella prova di matematica, la Regione con il punteggio più alto (200) è il Friuli, mentre il fanalino di coda, ancora una volta, risulta la Sicilia (185). Il fenomeno si ripropone pari pari nei vari ordini e gradi scolastici. La conclusione cui perviene Invalsi è sconfortante ed in linea con gli ultimi due precedenti Rapporti. Ci sono forti e crescenti differenze interne al nostro Paese e «il sistema educativo non sembra in grado di contrastare questo fenomeno che si acutizza mano a mano che si va avanti nell'itinerario scolastico». Oggi arriva la «buona scuola». Vedremo quanto di buono apporterà alla scuola italiana ed al preoccupante differenziale di apprendimento tra il Nord e di Sud del nostro Paese. Nella riforma varata, ci sono molte novità: una in particolare riguarda l'integrazione, fortemente voluta, tra il mondo dell'istruzione e quello del lavoro. La Confindustria Venezia Giulia e l'Ufficio Scolastico di quella Regione hanno sottoscritto un accordo per «agevolare nei programmi scolastici un approccio più mirato allo sviluppo delle competenze, coerente con i bisogni delle realtà produttive». È un bel segnale che meriterebbe di essere raccolto anche in Sicilia dove non è detto che la somma di due debolezze debba necessariamente dare vita da una terza debolezza. Anzi in una terra come la Sicilia è forse «l'unione» che può fare la «forza».

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