La politica siciliana sta vivendo una fase di forte fibrillazione; il «giudizio» della Corte dei Conti, di pochi giorni fa, mette seriamente in discussione la possibilità che il prossimo anno si possa persino varare il bilancio. Su questo contesto, ormai di difficilissima gestione, si inserisce un nuovo fronte di scontro, quello tra Roma e Palermo.
Uno scontro che verte essenzialmente sui torti reci proci che i due contendenti si rinfacciano. La Corte dei Conti definisce ormai il bilancio sicilia no di previsione un mero esercizio, volto a presentare una parità apparente tra entrate ed uscite. Rispetto al bilancio di previsione 2014, le entrate regionali sono risultate il 7% in meno, mentre lo Stato, con un apparato decisamente più grande ed articolato, ha sgarrato le previsioni di appena l' 1%. È questa la chiave di lettura del deficit di bilancio della Sicilia. Si spende facendo conto su un certo volume di entrate; poi le entrate risultano sovrastimate, ma le spese nel frattempo sono state fatte.
Nessuno ovviamente le restituirà mai. È così da anni. Ed il debito esplode. Ma c'è dell'altro; la sanità siciliana, che assorbe più della metà del bilancio regionale, ha chiuso l'esercizio scorso con un avanzo digestione, eppure è stata travolta dalla impossibilità della Regione di assicurarle le risorse che le spetta no.
Anche Roma tuttavia «lavora» per creare problemi alla Sicilia. Lo Stato ha trattenuto, senza nemmeno una comunicazione, circa 585 milioni di euro; ha messo così in crisi l' esercizio 2014, facendo venire meno una fetta consistente delle entrate previste. Roma si era impegnata, inoltre, ad accreditare alla Regione, a valere sul gettito delle imprese presenti in Sicilia (articolo 37 dello Statuto), circa 50 milioni di euro, senza però spiegare come si fosse arrivati a questo importo, senza consentire quindi alcuna verifica da parte della Regione e senza versare comunque un solo euro.
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