Eppur si muove. Dopo anni di zoppia, lo Stivale sembra essersi rimesso in marcia. La produzione industriale che vola ai massimi dall' agosto del 2011, e un saldo di 185 mila nuovi contratti di lavoro a maggio, sono segnali che lasciano ben sperare nella ripresa. La strada è ancora lunga, ricorda il ministro Padoan. Ma rimane la piacevole sensazione, forse per la prima volta da mesi, di potere ripartire dal segno più. «Si tratta di indizi che vanno accolti con favore», conferma Luigi Paganetto, docente di Economia europea all' Università Tor Vergata di Roma. «Lastrada per uscire dalla recessione però è ancora lunga, i consumi interni sono ancora fermi al palo», obietta l' economista.
Professore, la produzione industriale a maggio vola ai massimi dall' agosto 2011 e cresce del 3% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Siamo fuori dal tunnel?
«I dati Istat confermano le tendenze in atto già da qualche mese. La produzione industriale appare in ripresa nei settori forti del nostro export. Aumentano i beni strumentali (+2,3%), l' energia (+1,7%), i beni di consumo (+0,7%) e i beni intermedi (+0,6%). E tuttavia bisogna essere cauti nel cantare vittoria. Una più attenta analisi rivela che nel comparto alimentare e in quello tessile, si registra un segno meno. L' export torna a crescere, ma il consumo interno sembra accusare ancora gli effetti della crisi».
Quanto incide l' indebolimento dell' euro sulla ripresa dell' export?
«L' indebolimento della moneta unica aiuta, ma non è decisivo. Esportiamo più macchinari, utensili e beni durevoli, è vero. Ma ciò non è intrinsecamente legato alla svalutazione. Prova ne sia che i migliori risultati, a livello di export, li abbiamo ottenuti in Paesi extraeuropei. Chi ripete ossessivamente che è la Luigi Paganetto, docente di Economia europea a Tor Vergata svalutazione della moneta, l' unica possibilità che ha il nostro Paese di tenere alti i ritmi di esportazione, deve ricredersi. Esportavamo molto anche quando l' euro valeva di più».
Ciò però non accade in settori chiave del nostro export come l' abbigliamento. Che succede?
«Accade che l' export non basta per sostenere l' espansione della produzione. Un settore come l' abbigliamento nel nostro Paese funziona soltanto se è sostenuto dalla domanda interna. I consumi crescono poco. Questi dati ne sono la conferma indiretta».
Alcuni commentatori salutano questi segnali di ripresa come la fine delle politiche recessive innescate da Monti. Diagnosi condivisibile?
«Monti, Letta e Renzi hanno agito all' insegna della continuità. Tutti e tre i governi non hanno messo in campo riforme immediatamente riconducibili alla ripresa, ma riforme necessarie a mettere al riparo da brutte sorprese settori chiave per il deficit pubblico: pensioni e mondo del lavoro su tutti. Una generale tendenza al ristagno resta però evidente sia in Italia che in Europa. Lo abbiamo detto con forza all' International Economic di villa Mondragone: per una ripresa vera, che non si limiti a insufficienti zero virgola qualcosa, deve intervenire una svolta a Bruxelles».
Che cosa occorre per il cambio di marcia?
«La chiave sta nel mettere in campo una politica di investimenti massivi. Dal 2008 a oggi sono calati in media del 20 per cento, e in Italia più che altrove. Il ristagno dell' Unione è evidente, e per questa ragione a Palazzo Chigi è stato redatto un documento ad hoc, "Completing and strengthening the Emu" ("Completare e rafforzare l' Unione economica e monetaria"), che sarà sul tavolo dei capi di Stato al vertice di fine luglio».
Il saldo tra cessazioni e attivazioni dice che a maggio ci sono in Italia 185 mila contratti di lavoro in più. Il Jobs Act funziona?
«Sarei molto cauto nel leggere con entusiasmo questi dati. Occorre ricordare che questi numeri tengono conto di moltissimi contratti a tempo determinato trasformati in indeterminati a tutela crescente. Non parliamo di 185mila posti di lavoro in più, insomma. Si può ragionevolmente dire che gli incentivi e gli sgravi messi in campo dal Jobs Act per le aziende per ora funzionano. Ma i benefici di queste stabilizzazioni vanno valutati attentamente nell' arco del prossimo biennio. Il contratto a tutele crescenti lascia ai datori di lavoro facoltà di licenziamento per i primi tre anni. Se si confermerà un ciclo espansivo, e la domanda crescerà, allora le stabilizzazioni saranno andate davvero a buon fine. Viceversa, un calo della produzione potrebbe vanificare tutto».
La produzione industriale cresce, aumentano gli occupati in pianta stabile ma al Sud non c' è nessuna miglioria palpabile. Chi se ne occupa del Meridione?
«Ha perfettamente ragione. Il Sud e la vostra Sicilia sono abbandonati a se stessi. Mi sono lungamente occupato della questione e sono giunto alla conclusione che il Meridione si rilancia soltanto con un pressing deciso sulle istituzioni europee. Servono urgenti interventi per far crescere infrastrutture e capitale umano: la soluzione passa in modo ineludibile dagli investimenti. Occorre che l' Europa consenta ai singoli Stati di estromettere dal deficit di le spese destinate al rilancio delle aree più depresse. Fondi europei e nazionali vanno concentrati con decisione in aree come il Sud che pure sono piene di potenziale e continuano a essere ignorate. Dev' essere chiaro a tutti: dal rilancio del Meridione, passano le future fortune del nostro Paese».
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