Bisogna prendere il coraggio a due mani e dire ciò che molti preferiscono tacere: se la Grecia esce dall'euro fa una favore all'Italia. A causa degli imbrogli ateniesi, abbiamo già pagato un conto salatissimo». Economista di rango, apprezzato per la sua schiettezza, Giacomo Vaciago non si rifugia nel limbo dei tecnicismi. Nelle ore in cui ferve l'attesa per il verdetto greco, l'editorialista de «Il Sole24Ore» canta fuori dal coro: «È ora che gli amici greci smettano di bluffare. Devono rimboccarsi le maniche come abbiamo fatto noi». Professor Vaciago, Standard & Poor's ritiene che la Grexit, l’uscita della Grecia dalla moneta unica euro, potrebbe costare all'Italia 11 miliardi di euro. Stima credibile? «Standard & Poor's è stata sin troppo generosa. Il loro report fotografa solo la pagliuzza di quella che per l'Italia si è dimostrata una trave gigantesca. Il fallimento della Grecia nel 2009 è costata all'Italia una lunghissima crisi che è durata fino al 2013. Il loro spread era a mille, il nostro di conseguenza è arrivato a 570. Abbiamo ricevuto danni per miliardi di euro. E sapete perché? Perché la Grecia ha falsificato i suoi conti e l'Italia è apparsa ai mercati come un Paese costruito a loro immagine e somiglianza». Il premier Renzi ha assicurato che se anche la crisi greca volgesse al peggio, non rappresenterebbe un pericolo per il nostro paese. È proprio così? «Renzi dice quello che può dire. La verità è che se la Grecia facesse default, finirebbero in fumo anche i 40 miliardi di euro che abbiamo versato per il salvataggio di Atene. Senza contare che lo spread tornerebbe a impennarsi, con tutte le tristi conseguenze che già abbiamo provato sulla nostra pelle qualche anno fa. Se Atene resta nell'euro continuerà a fare all'Italia danni incalcolabili». Sostiene che per il nostro Paese sarebbe più vantaggiosa la Grexit? «È così. Dal 2001 a oggi, noi non abbiamo avuto un solo vantaggio dalla presenza della Grecia in Eurolandia. Non gli abbiamo venduto champagne, e neppure Porsche. Non delocalizziamo laggiù le nostre imprese, non importiamo quasi niente ed esportiamo pochissimo. L'ingresso di Atene nell'euro, per quanto ci riguarda ha fatto solo danni». Il nostro premier garantisce che l'Italia non è più un problema per l'Europa. È cambiata la percezione che di noi hanno i mercati, rispetto a quella della Grecia? «Bisogna ammettere che il nostro Paese ha imboccato un percorso di riforme, di cui però quella del lavoro è l'unica a essere già operativa. Siamo a metà strada. Abbiamo disposto tagli alla sanità e tagli di enti inutili. E nel corso delle turbolenze finanziarie, abbiamo mostrato maggiore solidità. Ora si tratta di concretizzare gli sforzi, di metterli nero su bianco. Ma al momento non possiamo ancora escludere che gli speculatori tornino a darci la caccia, se la Grecia dovesse finire al tappeto». L'opinione pubblica italiana però è in gran parte solidale con il popolo greco, in questa partita con l'Europa. Disapprova? «Sono del parere che si stia spargendo buonismo a piene mani in merito alle vicende greche. Un atteggiamento troppo pietoso rischia di uccidere il malato. E di fare il gioco di chi, come Tsipras e i suoi sodali, strumentalizza i sentimenti per non fare le riforme che potrebbero portare fuori dalle secche il Paese. Italia, Spagna e Irlanda hanno compiuto durissimi sacrifici per rimettere in sesto i conti. In Grecia invece si continuano a rifuggire le responsabilità. Se Atene restasse in Europa continuerebbe a drenare soldi in prestito dall'Italia e dal resto dei Paesi membri. È mai possibile che gli operai lombardi, i contribuenti siciliani, debbano continuare a mantenere tanti greci furbastri che evadono le tasse e vivono di privilegi che noi ci sogniamo? I discorsi nobili di papa Francesco, destiniamoli a chi vive sventure vere: africani e migranti su tutti. La Grecia è per l'Italia soltanto una zavorra». Esperti, politici ed economisti non erano a conoscenza delle reali condizioni della Grecia? Non trova inaccettabile che il prezzo di questo pasticcio lo abbiano pagato i comuni cittadini? «Quando la Grecia fu ammessa nell'euro, si impose la logica dell'ammasso: "più siamo e meglio è", si disse. Con il tempo però è venuta fuori l'amara realtà. In Paesi diseguali, la moneta unica diventa lente d'ingrandimento dei difetti. Con la conseguenza che le economie di molti Paesi sono al palo, e la Germania, invece, chiude il bilancio di quest'anno in pareggio». Se la Grecia lascia l'euro è un vantaggio, ci ha detto. Ma i greci che fine fanno? «Che escano dall'euro o ci restino cambia poco. Devono mettersi nell'ordine di idee di cominciare un percorso di risanamento che richiede sacrifici. Gli stessi che hanno fatto gli italiani, gli irlandesi e gli spagnoli. Bisogna che dicano basta alle baby pensioni ad esempio. Che comincino a combattere l'evasione fiscale dei ricchi, che noi europei ormai manteniamo con denari e denari dati in prestito. Parlo di riforme lacrime e sangue, in stile Fornero. Cinque anni di sofferenza, e si esce fuori dal tunnel. Ma per questo tipo di interventi servono tutt'altri governanti. Dei leader responsabili. Tsipras è soltanto un istrione». Che cosa si attende dal referendum di oggi? «Poco importa se vince il sì o il no. Il referendum è una truffa, un'altra delle scaltrezze greche. Non è la conta dei voti che cambia i conti dell'economia. Comunque vada, saremo noi quelli che dovranno continuare ad aprire i cordoni della borsa».