PALERMO. «La burocrazia deve dare tempi certi, ma soprattutto deve esserci un vero rilancio dell’economia, altrimenti le aziende non assumeranno mai. Le imprese non assumono se non c’è lavoro. Il piano Garanzia Giovani potrà funzionare solo se si blocca l’economia. La Regione Sicilia promette loro incentivi e contributi che poi arrivano dopo anni». Lo afferma Filippo Ribisi, presidente di Confartigianato Sicilia, intervenuto a Ditelo a Rgs. Sono partiti i primi tirocini e stage in alcune aziende siciliane che hanno aderito al piano «Garanzia Giovani», ma sembra che le cose vadano a rilento. C’è diffidenza e poca fiducia da parte delle aziende in questo progetto? «Vi sono difficoltà nell’attuazione di questo progetto e vi è una certa diffidenza da parte delle aziende a causa dei gravi problemi economici che ci sono in questa regione. Un’azienda per poter assumere, anche con lo strumento degli stage formativi, deve avere fiducia nel lavoro. E, dalle notizie che ogni giorno apprendiamo, non è facile. Le aziende non vengono affatto incoraggiate». In Sicilia accade che anche in presenza di finanziamenti, i lavori vengano bloccati... «È vero. È per questo che le imprese sono scoraggiate. Le aziende non possono investire e non possono fare promesse se dopo due mesi non c’è lavoro. Bisogna sbloccare la Sicilia, mettere in moto tutte quelle iniziative che servono a produrre lavoro perché se non c’è lavoro le aziende non possono assumere. In questa difficile fase della nostra economia è necessario uno sforzo eccezionale per costruire un contesto favorevole alle potenzialità imprenditoriali del nostra Regione, per irrobustire il tessuto produttivo dell’artigianato e delle piccole aziende, per migliorarne la capacità competitiva e consentire loro di uscire dalla crisi». Cosa occorre per fare funzionare «Garanzia Giovani» e dare così la possibilità a tanti giovani di entrare finalmente nel mondo del lavoro? «In primis bisogna mettere in atto davvero ciò che si promette. Le aziende in passato hanno vissuto esperienze negative. La Regione promette loro incentivi e contributi, per spingerle e motivarle ad assumere, ma questi contributi non arrivano mai puntuali, ma dopo anni. Avendo già le loro spese di gestione, non possono affrontarne di altre, né anticipare fondi che non si sa se e quando arriveranno. Le aziende non sono enti pubblici che mettono dentro personale anche se non ha cosa fare. Esse investono e devono avere un ritorno». Un tempo si diceva che l’artigianato e la piccola industria in generale rappresentavano la vera "ossatura" dell’economia siciliana e ora? «Una tesi che di fronte alla crisi generalizzata delle grandi industrie, e basta citare l’esempio drammatico della Fiat di Termini, è quantomai attuale. Le migliaia di piccole e medie imprese diffuse sul territorio sono spesso le uniche a restare in piedi e creare lavoro vero. E lo fanno tra mille difficoltà, come provano le 4 mila aziende artigiane che si sono perse in Sicilia dal 2012 ad oggi, con un saldo negativo tra nuove iscrizioni e cancellazioni del 2,76 % nel 2013 e del 2,58 % nell’anno 2014».