«I tagli colpiscano partecipate, Iacp, Esa e altri enti di cui la Regione può fare a meno. Non ha senso colpire solo sindaci, consiglieri comunali e dipendenti regionali, nella manovra servono anche misure per lo sviluppo»: lo afferma Nello Musumeci, della «Lista Musumeci verso Forza Italia». Qual è il suo giudizio sulla finanziaria arrivata in Aula? «Ormai credo che sia un rito stanco e noioso che il governo e il Parlamento debbano recitare, perché alla fine non c'è alcun elemento di novità e alcuna spinta emotiva. Tutto si svolge secondo un copione già conosciuto e imparato a memoria. Aspettiamo ancora dal governo Crocetta un colpo d'ali che non arriva perche Crocetta è un presidente dimezzato, è un governatore ormai sotto tutela e a pagarne le spese è questa terra di Sicilia che registra il collasso in tutte le sue articolazioni. Ci sono ancora contraddizioni nella maggioranza e il governo non può fare quadrare i conti sulla pelle dei più deboli. Resteremo vigili fino alla fine evitare che la macelleria sociale. Cercheremo di migliorare la manovra, non ha senso fare ostruzionismo e sparare sull'ambulanza che corre verso il pronto soccorso». I tagli sono necessari a suo avviso per fare quadrare i conti? «Certo, ma un bilancio è uno strumento contabile, è fatto di tagli ai rami secchi e improduttivi e di stimoli per la crescita, per l'occupazione e per favorire i consumi delle famiglie. Porto un esempio: perché non si ha il coraggio di chiudere definitivamente le partecipate la cui sorte è stata decisa da anni? Le azioni da portare avanti sono numerose. Si parla di una rifunzionalizzazione dell'Ente di sviluppo agricolo quando da due anni l'opposizione sostiene che l'Esa ormai ha svolto la propria funzione storica in un determinato contesto economico dell'Isola. E poi perché non si mette sul mercato una parte del patrimonio immobiliare della Regione che risulta non essere funzionale ai fini istituzionali? Riteniamo sia anche necessario chiudere gli istituti autonomi di case popolari e limitare l'uso delle auto blu solo ai sindaci, al presidente della Regione e al presidente dell'Ars». Ha parlato della necessità di misure per la crescita: quali? «Intanto dobbiamo trattare con Roma con pari dignità e chiedere quel che ci è dovuto in modo che la partita si possa riavviare partendo da zero. Per farlo servirebbe però un governo autorevole e non mi pare che questo lo sia. In secondo luogo faccio appello alla rappresentanza parlamentare: i deputati e i senatori siciliani per una volta si uniscano in una lobby per mettere davvero in difficoltà la maggioranza di governo. Terzo, dico di puntare sulla programmazione dei fondi europei, ieri ritenute somme integrative e oggi invece divenute risorse ordinarie, le uniche sulle quali si può fare affidamento. Ma le procedure sono ancora lente, incompatibili con i i tempi degli imprenditori. In questo senso vanno riorganizzati gli uffici, utilizzati al meglio tutti i dirigenti, ci sono aree dove si lavora tantissimo e altre dove si fa quasi nulla. Andrebbero sfruttate tutte le occasioni e invece si fanno scelte assurde. La Regione rischia di perdere 10 milioni di euro della Protezione civile nazionale destinati a prevenire i rischi legati ai terremoti perché non ha pagato la propria quota di partecipazione di due milioni. Con quelle somme si sarebbe dato aiuto all'edilizia, a tantissimi professionisti, e invece tutto sta sfumando». Che ne pensa della possibilità di riaprire i concorsi alla Regione? «Forse sarebbe meglio tacere, è una questione di buon senso. Dobbiamo avere il coraggio, tutti, di dire ai nostri figli che per dieci, quindici anni non ci saranno concorsi nella pubblica amministrazione a causa di errori che sono stati compiuti negli ultimi decenni con questa pratica folle di ingresso nella pubblica amministrazione senza concorso, per raccomandazione. Oggi facciamo i conti con decine di migliaia di precari che non sanno se potranno tornare al posto di lavoro e pensiamo di poter avviare nuovi concorsi?». Sui tagli ai regionali e sui pensionamenti? «Per carità, credo che alcuni provvedimenti possano essere necessari, ma si avvii un confronto serio con i sindacati. Ogni cosa ha la sua giusta forma. Sono stato contattato da dipendenti dell'ente acquedotti siciliani che non hanno ricevuto neanche una lettera per avvertirli di una pesante decurtazione che riguarderà tante famiglie. Non si possono mettere in dubbio i diritti acquisiti. Tra l'altro non è che questi tagli si traducono in benefici diretti per migliaia di famiglie sull'orlo della povertà assoluta». Sul taglio ai gettoni e indennità di consiglieri comunali e sindaci? «Ma davvero vogliamo prendere a picconate le istituzioni base della democrazia? Vogliamo tornare al podestà? Non si vergognano a dire che i rappresentanti della democrazia siano un peso per la Sicilia? Possiamo tagliare i costi ma non la rappresentanza. Evidentemente l'esperienza della riforma delle Province non è bastata alla maggioranza per capire che sugli enti locali una riforma non può procedere in questo modo». Pensa che senza aiuti da Roma sia possibile far quadrare i conti? «Non possiamo avere un presidente che va col piattino in mano a Roma, che sta dietro alla porta di Renzi in attesa dell'elemosina. È intollerabile. Crocetta è stato colpevolmente remissivo nella trattativa col governo centrale. Abbiamo regalato a Roma cinque miliardi e mezzo di euro per contenziosi che si sarebbero definitivi in favore della Sicilia e che avrebbero abbondantemente coperto il debito di bilancio». Crede all'ipotesi del commissariamento romano? «Credo che il commissariamento sia soltanto una pistola scarica perché Renzi sa che se si andasse a votare in Sicilia il Pd non potrebbe assolutamente chiedere consensi dopo avere per cinque anni governato l'Isola con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. La minaccia serve a Renzi per trattare al ribasso col governo regionale sulla mancata applicazione degli articoli finanziari dello Statuto». Nel caso di un ritorno al voto come si presenterebbe il centrodestra? «A mio avviso bisognerebbe andare oltre il centrodestra e ridare voce e speranze a quei siciliani che pur non riconoscendosi nel centrodestra non vogliono morire di renzismo o crocettismo. Serve una sorta di patto civico fra persone perbene per ridare la speranza a chi l'ha persa. E se disertare le urne significa aver perso la speranza ricordiamoci che in Sicilia alle ultime regionali oltre la metà del corpo elettorale non si è recato a votare».