Catania è tra gli ultimi 10 comuni italiani in base al reddito procapite, mentre si colloca tra i primi 10 comuni in base all’ammontare delle tasse locali; una sirena d’allarme dovrebbe suonare forte alle orecchie di chi ci amministra. Si ripropone infatti l’amara verità: in Sicilia siamo più poveri, abbiamo servizi di qualità infima e, per paradosso, paghiamo più tasse che nelle opulente regioni del centro-nord.
Questo canovaccio si ripropone nella nostra regione con puntualità sconcertante. Resta un mistero perché i sindaci delle grandi città siciliane debbano avere uno stipendio più alto di ben 1.500 euro al mese rispetto al sindaco di Roma, di Milano o di Torino. E’ incomprensibile perché il personale utilizzato nei comuni siciliani sia esattamente il 50% in più che nel resto d’Italia. Resta ignoto ai più, perché il tetto retributivo, introdotto per i dirigenti statali, debba escludere i dirigenti regionali.
E’ ignoto perché le riforme pensionistiche Amato e Fornero abbiano coinvolto più di 20 milioni di lavoratori pubblici e privati italiani e debbano invece meritarsi il bollino “anticostituzionale” nell’ambito della Regione Siciliana.
Eppure si sciopera. Si sciopera per la conservazione di posizioni ormai anacronistiche, tentando di spacciare come ragionevole ciò che invece è profondamente irragionevole.
In questi giorni, si discute molto nei blog. Accanto ai commenti più vivaci dei “non regionali” colpiscono alcune “difese d’ufficio” forse dei “regionali”, che accusano gli altri lettori di creduloneria. Eppure si tratta di dati secchi ricavati da fonti insospettabili, come la Corte dei Conti o, paradosso nel paradosso, come la stessa Regione Siciliana. Non una notazione critica nel merito; si porta avanti una difesa di parte, senza sostenere le tesi giustificative, ammesso che esistano, di una eventuale differenza tra noi ed il resto del mondo.
Questo Giornale lo ha scritto più volte. Hanno torto i dipendenti regionali ad opporsi al semplice, banale e scontatissimo allineamento delle condizioni retributive e previdenziali al resto d’Italia. Hanno ragione da vendere quando invece invocano il “rigore” in tutta l’amministrazione siciliana, a cominciare dal trattamento economico e previdenziale dei deputati regionali, per poi passare ai dipendenti dell’ARS, senza dimenticare ovviamente sindaci e consiglieri comunali, amministratori e consulenti.
Una valutazione della spesa pubblica a 360 gradi potrebbe portare all’attenzione alcuni persistenti e macroscopici fenomeni. Oltre a quelli già citati, bisognerebbe spiegare perchè negli ultimi dieci anni i dipendenti regionali siano diminuiti del 9% nella media del Paese e lievitati del 10% in Sicilia.
Magari potrebbero spiegarci le cause della presenza nell’Isola del 36% di tutti i dirigenti regionali in Italia e del 28% di tutti i dipendenti regionali. O dirci per quale arcano motivo i permessi sindacali volano, perché il 40% dei regionali è inquadrato nelle qualifiche più alte, perché una trentina di indennità aggiuntive debbano costare quasi 300 milioni di euro, perchè non si utilizzano come “esperti” i 338 dipendenti regionali con un master universitario o con un dottorato di ricerca, perché ci servano più forestali che medici, ….
Ma forse tutto questo non sarebbe sufficientemente “ragionevole” per chi ci amministra.
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