PALERMO. Giovanni Lo Porto, il quarantenne palermitano sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012 insieme ad un collega tedesco a Qasim Bela, nella provincia del Punjab, lavorava con la Ong tedesca Welt HungerHilfe (Aiuto alla fame nel mondo) per la ricostruzione dell'area messa in ginocchio dalle inondazioni del 2011.
Ucciso nel gennaio scorso nel corso di un raid americano contro Al Qaida, come ha reso noto oggi la Casa Bianca, Giovanni Lo Porto era stato a Palermo a trovare i suoi familiari appena dieci giorni prima del sequestro. La sua famiglia vive al piano rialzato di una palazzina di via Pecori Giraldi, nel quartiere Brancaccio alla periferia est di Palermo.
Una strada tristemente nota: fu lì che nel '79 il capo della Mobile Boris Giuliano, prima di essere massacrato dalla mafia, scoprì il nascondiglio dell'allora latitante Leoluca Bagarella.
Il padre di Giovanni Lo Porto, Vito, lavora a Pistoia con uno dei cinque figli. Gli altri tre vivono in città, come la madre Giuseppa. L'unico ad andare lontano dalla Sicilia era stato proprio Giovanni, una laurea, un master a Londra, con una grande passione per il suo lavoro di cooperante che l'aveva portato anche in Africa e ad Haiti.
Giovanni, che in famiglia veniva chiamato Giancarlo, aveva quattro fratelli di cui due (Giuseppe e Nino vivono con la madre), Daniele abita a Pistoia con la propria famiglia e nella città toscana vive anche il padre.
I genitori hanno divorziato una quindicina di anni fa. L'altro figlio, Marcello, secondo quanto dicono i vicini di casa avrebbe avuto problemi con la giustizia e sarebbe detenuto.
La madre, Giusi, da quando il figlio, tre anni fa è stato rapito, raccontano i vicini di casa, «è diventata un'altra persona: è cambiata anche fisicamente. Si è trasformata e la sua unica speranza è stata quella di riabbracciare Giovanni».
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