Uno sciopero contro la realtà: è quello proclamato per il 29 aprile dai dipendenti della Regione per il mancato accordo su tagli e pensioni. Uno sciopero proclamato da un sindacato che sembra sceso da un’altra galassia. Il rifiuto assoluto di capire che un’epoca si è chiusa e non sarà più possibile riaprirla. I soldi sono finiti ma crescono i debiti. Negli ultimi due anni l’esposizione della Regione è raddoppiata toccando la vetta di 7,5 miliardi. Ma le clientele stanno cercando fino all’ultimo di appropriarsi delle briciole ancora disponibili. La risposta di Roma non è cambiata: i soldi per chiudere il bilancio arriveranno solo in cambio di un piano di riforme credibile. E, nonostante questa certezza, sui tagli al personale la trattativa con i sindacati salta. Tagliare fa male e la politica e il sindacato non si vogliono assumere questi rischi. Nemmeno quando si tratta di interventi di semplice buon senso. L’assessore vuole adeguare le pensioni dei dipendenti della Regione a quelle degli statali. Una parificazione che comporterebbe una riduzione degli assegni compresa fra il 15 e il 20%. Una prospettiva inaccettabile per i sindacati che hanno proclamato lo sciopero. Un blocco difficile da giustificare: una volta le proteste servivano ad affermare un diritto. Oggi, a quanto pare, a coprire un privilegio. Non si capisce per quale ragione gli assegni di vecchiaia dei dipendenti della Regione debbano essere tanto più alti di quelli degli altri dipendenti della pubblica amministrazione. Non si capisce. C’è invece lo sciopero che sembra veramente un gesto di grande irresponsabilità. Veramente il segno della Casta che non vuole rinunciare ai suoi benefici. Nemmeno quando fanno a cazzotti con le regole dell’eguaglianza fra lavoratori che svolgono impieghi simili.