PALERMO. Il territorio tra Caltavuturo, Cerda e Polizzi Generosa è ancora instabile. Due giorni fa dieci chilometri della strada statale 120 sono stati vietati al transito ancora per movimenti franosi nella zona. Così la scelta di realizzare la bretella in gran parte sulla provinciale 24 di Caltavuturo franata in questi mesi di pioggia ai geologi dell’Università di Palermo appare rischiosa. Non solo perché adesso, dopo le piogge, si deve attendere l’assestamento del terreno, ma perché la mole di traffico che dovrebbe passare sulla bretella rischia di fare franare la strada in pochissimo tempo. Se fossero confermate le perplessità dei geologi, l’ipotesi dei tre mesi per realizzare la nuova strada, come promesso dal ministro Graziano Delrio, non sarebbe così certa. Ieri a Roma si è svolta la riunione dell’unità di crisi a cui hanno preso parte Erasmo D’Angelis, coordinatore della Struttura di missione del Governo #italiasicura contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, il direttore Mauro Grassi, gli assessori regionali all’Ambiente Maurizio Croce e alle Infrastrutture Giovanni Pizzo, il responsabile della Protezione civile siciliana, Calogero Foti, il responsabile Anas esercizio e coordinamento territorio, Michele Adiletta, i rappresentanti del ministero dell’Ambiente, del Dipartimento della protezione civile, dell’Ispra. Tra loro c’era anche Gian Vito Graziano, presidente nazionale dell’Ordine dei geologi, consulente dell’Unità di Missione. Dottore Graziano, non sarà un lavoro semplice, ad iniziare dalla realizzazione della bretella. Qual è la situazione nella zona di Caltavuturo? «Erano stati scelti nel 1970 i piloni e il viadotto perché quella zona nei due versanti era instabile. Lo era allora e adesso lo è di più, visto che già una prima frana si era manifestata nel 2005. L’instabilità nasce proprio dalla conformazione geologica. Per questo ritengo che la realizzazione delle nuove opere debba avvenire dopo un attento studio geologico. E devono essere installati anche i sensori, per registrare i vari movimenti della zona. Saranno opere soggette alla fragilità dei luoghi, ad iniziare dalla bretella. Per questo bisogna abbassare le soglie di rischio, per rendere l’opera compatibile almeno per il periodo transitorio, fino alla realizzazione del viadotto. Certo, non ci sono molte alternative, ma la nuova strada che bypassa il viadotto dovrebbe essere realizzata in una zona di frana». Quali possono essere i rischi? «Sono diversi. Innanzitutto, il passaggio dei mezzi che saranno numerosi, rischia di attivare le masse che si muovono e con le piogge dell’autunno la strada potrebbe di nuovo franare. Per questo bisogna drenare le acque che ci sono nella zona che potrebbero creare seri problemi alla strada. Bisogna togliere il più possibile le acque. Fare tutto questo in tre mesi mi sembra ottimistico. Ma spero che dopo quanto successo sul viadotto Himera, i tecnici siano in grado di dare le giuste risposte attese dai siciliani». Come i tecnici controllano i movimenti della frana? «Il monitoraggio di versanti viene affrontato attraverso la tecnica inclinometrica. Tale tecnica, già largamente utilizzata nei casi di dissesto idrogeologico, viene proposta attraverso l’impiego di una strumentazione nuova e all’avanguardia che permette di verificare sia le condizioni di rischio di frana in tutti i tipi di versanti, sia di potere monitorare e quantificare gli spostamenti nel sottosuolo di un pendio già in fase di dissesto, consentendo la programmazione degli interventi necessari per la risoluzione definitiva di tali situazioni contingenti. Strumenti che devono restare in quel tratto». Cosa è emerso nel corso dell’incontro a Palazzo Chigi? «Si è cercato di costruire un lavoro comune e urgente per avviare un sistema permanente di monitoraggio del rischio idrogeologico, in particolare sulle frane, integrando immediatamente i database di Regione, Ispra e Anas. Tutti i partecipanti si sono trovati d’accordo nel cercare di individuare e sbloccare tutte le risorse economiche assegnate dallo Stato alla Regione Siciliana dal 1999 al 2010 per la prevenzione del dissesto idrogeologico e ancora non utilizzate. Inoltre, vanno avviate le riforme previste da leggi dello Stato e dallo ”Sblocca Italia” per poter superare e cancellare i ritardi nella governance e nella realizzazione delle infrastrutture idriche che vede l'isola già sanzionata da diverse sentenze della Commissione Europea e per poter impegnare i finanziamenti già programmati e per i quali sono partiti i primi commissariamenti». Dal punto di vista dei lavori da realizzare, quali ipotesi si sono fatte? «L’Anas ha presentato i progetti per realizzare il nuovo viadotto. Si è detto che saranno realizzate nuove strutture con materiali e tecniche innovative che riescano a reggere all’impatto del territorio, davvero difficile. Poi hanno confermato che tra una settimana saranno pronti i progetti di demolizione del ponte Himera e quello per la realizzazione della bretella di collegamento tra la strada provinciale 24 e lo svincolo di Scillato, sull’A19 Palermo-Catania. Il governo, attraverso D’Angelis, ha chiesto alla Sicilia una maggiore attenzione ai temi del territorio e dunque del dissesto e a quelli della depurazione delle acque. Non solo per evitare le sanzioni, ma anche per non avere una strada che collassa ad ogni temporale e intere zone isolate per mesi».