PALERMO. «Il governo nazionale ha dato una mano alla Sicilia per risolvere un’emergenza nei conti. Ma alcune delle misure messe in campo non si potranno ripetere anche l’anno prossimo. Senza le riforme promesse, verrà meno anche l’aiuto dello Stato. E arriverà un momento in cui si dovrà tirare le somme e verificare i risultati, anche con i siciliani»: Davide Faraone, sottosegretario alla Pubblica Istruzione e leader siciliano dei renziani, traccia la road map di medio periodo per l’Isola. Lo Stato ha garantito trasferimenti e misure contabili che permetteranno di coprire un buco da tre miliardi. Il bilancio ora è in sicurezza, secondo lei? «È stato importante l’atteggiamento avuto dal governo nazionale e il percorso condiviso fra Delrio e i dirigenti del Pd. Intanto abbiamo tagliato dal bilancio alcune entrate fittizie che negli anni scorsi hanno sostanzialmente portato ad approvare bilanci falsi. Poi è stata data una risposta emergenziale al buco. Ma sono anche state fissate misure che attuano lo Statuto. Da questo momento in avanti la Regione incasserà 290 milioni di Irpef in più e 580 milioni di Iva che imprese e altri enti pagavano allo Stato. Non si tratta di interventi una tantum ma definitivi, chi dice il contrario dice una menzogna». Secondo lei questo basta a superare l’emergenza? «Niente affatto. Anzi, restano alcune criticità che vanno risolte subito per evitare che l’anno prossimo ci si trovi in una situazione anche più grave. Quest’anno lo Stato ha concesso la possibilità di utilizzare i soldi del cosiddetto Fondi di sviluppo e coesione per spese correnti. Si tratta di oltre un miliardo. Ma questo l’anno prossimo non sarà più possibile. I soldi per lo sviluppo devono essere utilizzati per strade, depurazione delle acque, scuole. Se così sarà, se la Sicilia rispetterà l’impegno di fare riforme che tagliano sprechi, liberando risorse dal proprio bilancio, allora lo Stato non farà mancare i fondi per lo sviluppo». Sulla prima riforma, quella delle Province, si è verificato il flop. Trova che ci siano le condizioni politiche per rispettare questi impegni? «Chi pensa che la Sicilia sia una zona franca rispetto al processo riformista nazionale, sbaglia di grosso. A livello nazionale Province, Asp, Iacp, pubblica amministrazione sono tutte già riformate o in via di rinnovamento. Qui si è rimasti indietro. Si pensi che a Salina ci sono tre Comuni con altrettanti sindaci e consigli comunali mentre lo Stato sta riorganizzando i Comuni. Il vento di Renzi non si può fermare a Reggio Calabria». E se invece le riforme si arenassero? «Tutto è legato alla capacità riformatrice della Sicilia. È successo lo stesso al governo nazionale nel rapporto con Bruxelles. L’Ue si è mostrata elastica in cambio di riforme. La Sicilia deve fare altrettanto. Se viene meno il suo impegno riformista, viene meno anche l’impegno dello Stato. Tra l’altro, fino a ora nell’Isola ci si è rivolti soprattutto ai cosiddetti garantiti. Ma la maggioranza dei siciliani non è garantita. Non ha un posto fisso, non ha privilegi. E bisogna investire risorse nello sviluppo per spingere queste fasce. Lo dico anche ai sindacati». Quanti anni servirebbero per passare dall’emergenza allo sviluppo? «Sarà decisivo il prossimo bilancio, quello del 2016. Ma per arrivare in tempo occorre iniziare a lavorarci adesso. Ecco perchè i tavoli di lavoro fra Stato e Regione proseguiranno». Cosa è mancato fino a ora? «Il problema è che non c’è stata proporzionalità fra la richiesta di aiuti e gli impegni per superare i problemi. Ogni volta è stata un’occasione persa, a prescindere dall’individuazione delle colpe. Ma da lunedì, da quando è stato concluso l’accordo con i dirigenti del Pd, si è deciso di andare avanti sulla strada giusta. Poi verrà il momento in cui verificare i risultati, anche di fronte ai siciliani».