PALERMO. «Lo status degli amministratori locali siciliani sarà equiparato a quello dei colleghi del resto d’Italia con un disegno di legge a parte che tratteremo entro il 30 aprile. Ma basta criminalizzare sindaci e consiglieri che vivono in prima persona i problemi della gente e mettono ogni giorno a rischio la propria vita»: lo afferma Giovanni Ardizzone, presidente dell’Assemblea regionale siciliana. Dopo lo stop alla riforma delle Province lei ha chiesto in Aula una maggiore condivisione della norma. Qual è stato il problema? «Mi meraviglio di chi si sia meravigliato del risultato perchè si avvertiva a pelle che non ci fosse condivisione. Io stesso, in qualità di presidente dell’Ars, prima del voto ho cercato una soluzione condivisa con maggioranza e opposizione. Purtroppo c’è stata una certa insistenza nel voler andare avanti da parte della maggioranza. C’è stato un ragionamento politico fatto in commissione e portato avanti fino alla fine, ma una riforma non può essere scritta solo da una parte della politica». Cosa succede adesso? Possibile che venga recepita la riforma nazionale di Delrio? «Recepire la Delrio potrebbe essere una delle ipotesi, non lo escludo, non sarebbe una sconfitta o una vittoria di una parte politica sull’altra. Ad ogni modo non tutti i mali vengono per nuocere. C’è un dibattito aperto tra l’Anci e il governo nazionale e finalmente Fassino, da presidente dell’Anci, ha preso posizione verso il governo e i tagli agli enti locali, manifestando il rischio di portare in default il Comune di Torino avendo ereditato i debiti della provincia. Quindi ora dobbiamo usare il tempo a disposizione per capire quale sarà l’incidenza finanziaria della riforma». L’esito del voto sulle Province ha evidenziato un problema nella maggioranza. Quali sono le cause? «Non voglio eludere la domanda, ma da presidente dell’Ars non voglio esprimere giudizi o entrare nel merito di dinamiche politiche. Quello che voglio è garantire la funzionalità dell’Aula. Ricordo però che questo governo non ha mai avuto maggioranza, sin dall’inizio. Io stesso sono stato eletto presidente con i voti dell’opposizione». Lei ha auspicato una maggiore collaborazione con l’opposizione. Crede sia stato un errore l’elezione di un deputato Pd alla vicepresidenza dell’Ars? «Più volte in conferenza dei capigruppo ho ribadito la necessità che la vicepresidenza fosse attribuita a un gruppo di opposizione. La questione si è trascinata per sette mesi fino a quando, ai fini della funzionalità dell’Aula, si è andati al voto. E le divisioni interne al centrodestra hanno agevolato il percorso a favore del Pd. Ad ogni modo l’ho detto sin dall’inizio, c’è l’assoluta necessità di condividere le riforme. Chi pensa di andare avanti con forzature in Aula non arriva da nessuna parte». Possibile riproporre in Sicilia un’ampia coalizione sul modello romano? «Non credo ai modelli di esportazione, dobbiamo solo far fronte a una situazione di emergenza istituzionale. Non si può andare avanti a colpi di maggioranza. Dobbiamo avere la consapevolezza che si va in Aula per risolvere i problemi, senza fare ostruzionismo e senza arroccarsi sulle proprie posizioni. In Aula c’è una confusione totale, a parte i Cinque Stelle, a cui obiettivamente devo dare atto della loro compattezza, anche nel centrodestra c’è una situazione sfaccettata». Crede che le elezioni anticipate siano possibili? «Non credo alle elezioni anticipate, non so se siano l’auspicio di qualcuno o la speranza di altri, ma le escludo perchè non cambierebbero la situazione. Se invece ci fosse un ragionamento più articolato, con ritorno alle urne a livello nazionale, potrebbe verificarsi un effetto trascinamento». Adesso i riflettori sono puntati sulla finanziaria. In Sicilia si parla di un buco da 3,2 miliardi e debiti frutto di mutui per per 7,5 miliardi. Pensa sarà facile fare quadrare i conti? «Intanto non ritengo veritiero questo dato. La commissione bilaterale degli Affari regionali a Roma, presieduta da Giampiero D’Alia, da qualche mese sta indagando sulla situazione finanziaria delle regioni e voglio prima vedere quali saranno i risultati. Di certo la situazione siciliana non è diversa da quella di altre regioni e di sicuro è migliore di altre come il Piemonte». Per chiudere il bilancio sono necessari tagli, anche dolorosi. Dove intervenire? «Togliamoci dalla testa di licenziare precari e lavoratori di società regionali. Non possiamo mandare a casa dipendenti regionali. Bisogna invece riorganizzare la macchina burocratica e rendere produttivo il personale che abbiamo. Questo che ci contesta la gente, avere tanti dipendenti e poi non offrire servizi adeguati. Bisogna collaborare con i sindacati, che non possono limitarsi alle rivendicazioni. Però non è neanche aggredendo la categoria dei regionali che si risolvono i problemi. Io dico di esaltare la nostra specialità, utilizziamo tutti i nostri dirigenti, mettiamoli in condizione di lavorare al meglio. Se ci comportiamo come tagliatori di teste alla fine criminalizzeremo un intero sistema demotivando il personale. Quello che serve oggi è principalmente rendere la spesa produttiva, consentire di incassare risorse grazie ai nostri beni culturali. Non ci possiamo permettere ad esempio di avere migliaia di precari e i musei chiusi nei festivi. Dobbiamo poi consentire agli imprenditori di investire in Sicilia e all’amministrazione regionale di spendere al meglio i fondi comunitari». Per rimettere i conti in ordine sarà determinante l’aiuto da Roma? «Non ho mai creduto allo spauracchio che si agita sul commissariamento della Sicilia. Roma ci deve dare quello che ci spetta o ce lo prenderemo. Fino ad oggi invece ci ha sottratto solo risorse, mi auguro inconsapevolmente. Penso ai 250 milioni che sono venuti meno solo perché il centro che emette cedolini-paga per i dipendenti statali è stato trasferito da Palermo a Latina e quindi le somme dell’Irpef le incassa lo Stato e non più la Regione. Se saremo remissivi nei confronti dello Stato non otterremo soluzioni. Se qualcuno poi pensa che siano concessioni dello Stato perche c’è un determinato governo a cui dobbiamo dire grazie, penso che almeno con l’Assemblea abbia sbagliato indirizzo». Sempre in tema di tagli il governo insiste sulle decurtazioni di gettoni e indennità di amministratori locali. La norma era stata stralciata dalla finanziaria, è stata inserita nella riforma delle Province e adesso è stata riproposta in finanziaria. Quale sarà l’iter? «La norma è stata stralciata e tratteremo entro il 30 aprile in un disegno di legge a parte che equipara lo status degli amministratori siciliani a quello del resto d’Italia. Però bisogna smetterla con la criminalizzazione dei sindaci e dei politici locali. Altrimenti saranno esposti a rischi seri come così come avvenuto con il sindaco di Aci Castello che pochi giorni fa è stato sequestrato da un pazzo che minacciava di ucciderlo, nella stessa città dove anni fa un sindaco è stato ucciso sempre per mano di un folle. Finiamola di criminalizzare gli enti locali che sono per ora in trincea rispetto ai problemi della gente e stanno facendo da ammortizzatore sociale. I sindaci così rischiano la propria vita».