Non frequenta più (almeno non come prima) i palazzi del potere. Non controlla più — «come negli anni del sacco, in cui era praticamente organica» — la politica e le istituzioni. «Ma proprio grazie alla mancanza di credibilità della politica e delle istituzioni e alla crisi economica e di valori, riesce ancora ad esercitare un importante controllo sociale su una grossa fetta della città e della provincia». Quella descritta dal procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci, da anni impegnato in delicate indagini su criminalità organizzata e corruzione, è una mafia discreta, silenziosa, per certi versi defilata, ma pur sempre in grado di dare un colpo di coda che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. «È una mafia che trova terreno fertile in un contesto che è permeabile alla corruzione, in un’isola in cui la ricerca di scorciatoie è la regola e in cui molti, ancora oggi, ricorrono all’anti-stato per risolvere anche problemi banali. Insomma, per eliminare il controllo sociale della mafia bisogna creare alternative credibili».
Cominciando da cosa?
«Intanto da uno Stato credibile, da istituzioni credibili. E poi da un sistema di norme e leggi chiare ed eque, applicate a tutti nello stesso modo e senza scorciatoie per nessuno. Perché è proprio nella scorciatoia che trova terreno fertile Cosa nostra, nella possibilità di favorire, di eliminare un ostacolo creato dalla burocrazia, dalla corruttibilitá del sistema o dal groviglio normativo che, spesso, diventa un fortino invalicabile per i cittadini. È questo il punto di forza dei mafiosi: la concorrenza con uno Stato spesso iniquo».
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