La sola ipotesi di ridurre i costi del personale a carico del bilancio regionale suscita preoccupazioni legittime, che mal si conciliano però con proteste preventive e con i primi scioperi precauzionali. Nel coro delle lagnanze, curiosamente, non trova spazio neanche la semplice presa d’atto dell’esaurimento delle risorse finanziarie regionali, fino ad evocare quello che sembrava un fantasma del passato: il salario come variabile indipendente. Molta acqua è passata sotto i ponti da quella scellerata ed insostenibile stagione sindacale e tutti eravamo convinti di una nuova e diversa sensibilità dei lavoratori e dei loro rappresentanti.
Ma persino questo archetipo del passato ritrova oggi una sua imprevista vitalità, quando si comincia solo a discutere di possibili riduzioni dei costi. Insomma, anche nella crisi sopravvive una forte asimmetria tra il privato ed il pubblico; con il primo che combatte contro il licenziamento o il taglio della retribuzione e con il secondo impegnato a salvaguardare il trattamento acquisito. Eppure ai dipendenti regionali — siano essi addetti ad un assessorato o utilizzati nel folto raggruppamento dei forestali — si chiederebbe solo un po’ di buon senso. Un atteggiamento costruttivo, a fronte di un buco di bilancio di quasi 4 miliardi di euro, vorrebbe infatti che ci fermasse a ragionare, piuttosto che impegnarsi a protestare. Mancano i soldi per proseguire sulla strada fin qui battuta e questo semplice, quanto drammatico, dato dovrebbe essere sufficiente a risvegliare anche le coscienze sindacali più conservatrici.
A livello politico è invalsa da tempo una prassi: il governo fissa i dati di entrata e di spesa complessivi e, per non «mortificare» il ruolo dei parlamenti, lascia spazio ad ogni possibile scelta, purché a saldo invariato. Questa potrebbe essere allora la soluzione per chi ritiene che le misure proposte dal governo regionale siano inique; indicare altre strade, specificare con dati precisi dove si propone di tagliare, trovare insomma le risorse per «pareggiare» il bilancio. A prima vista sembra arduo reperire quasi quattro miliardi di euro senza contenere la spesa per il personale, ma chissà che tanti conoscitori della macchina regionale non possano compiere il miracolo. Quale che sia la soluzione, resta un fatto ineludibile. I soldi sono finiti e purtroppo questa cruda realtà non può escludere neanche quanti, per decenni, hanno coltivato l’illusione di risorse senza fine. Siamo ancora troppo lontani da una proposta di bilancio che possa coinvolgere l’osservatore esterno. Tuttavia a prendere per buone le prime bozze di finanziaria in circolazione, si possono fare almeno due valutazioni nel merito.
La prima. I forestali addetti all’antincendio sono settemila; l’idea del governo sarebbe quella di farne confluire ogni anno una parte nel gruppone degli addetti alla manutenzione dei boschi, allineandoli allo stesso salario. Non ci sembra che si possa invocare la «macelleria sociale ed ambientale». Seconda considerazione. Ha suscitato preoccupazione tra le organizzazioni sindacali l’introduzione di un tetto di 60 mila euro all’anno di reddito per i forestali; evidentemente hanno informazioni che noi non conosciamo. Peccato che stiamo parlando di reddito equivalente Isee, che corrisponde ad un reddito reale assai più elevato. Ragionare allora. Non protestare.
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Caricamento commenti
Commenta la notizia