Lunedì 23 Dicembre 2024

Il nuovo boss è all’antica:
«Ci vuole serietà e rispetto»

PALERMO. Dal suo piccolo ufficio di dipendente comunale a Palazzo Adriano, ex custode del campo sportivo, Antonino Di Marco «insegnava» mafia. Poteva contare anche sull’appoggio di Salvuccio Riina, terzogenito del capo di Cosa nostra, che ha finito di scontare un condanna e ora vive a Padova. Di Marco aveva a cuore gli interessi della famiglia, non voleva contrasti: «Bisogna stare uniti - predicava - Ci vuole educazione, serietà. Rispetto». Raccomandava ai suoi fedelissimi di evitare dissapori interni per evitare di sgretolare tutto quanto costruito. «A voi non devono interessare le chiacchiere delle persone - diceva - ma solo il portare acqua al nostro mulino». Per rafforzare la sua leadership, Di Marco ai suoi fedeli raccontava che da ragazzo prese uno schiaffo da Bernardo Provenzano. A tavola, per una parola fuori posto. «Bisogna avere le braccia aperte con tutti», ripeteva sempre Di Marco ai suoi uomini. E diceva di non sopportare i sospetti e le dicerie che circolavano su di lui. Insisteva anche che loro dovevano essere «uno per tutti e tutti per uno». Per Di Marco era questo «il concetto di famiglia». A tal proposito, richiamava come esempio i tempi in cui partecipava alle riunioni di mafia in cui si discutevano le questioni esistenti tra gli associati. Di Marco riferiva che quando si alzava «il vecchio» boss e parlava, si eseguivano puntualmente gli ordini e si dirimeva ogni tipo di controversia. Di Marco ribadiva anche ai suoi fedelissimi che lui era disposto a fare un passo indietro qualora avesse dato troppo fastidio, perchè «estraneo». Il riferimento è al fatto che pur non essendo Di Marco nato a Palazzo Adriano, guidava quella famiglia.   ALTRE NOTIZIE NELLE PAGINE DEL GIORNALE DI SICILIA IN EDICOLA

leggi l'articolo completo