CALTANISSETTA. Si sono appellati al "Riesame" chiedendo la revoca della misura cautelare. È una pioggia di ricorsi quella presentata da dipendenti comunali che la procura ha ritenuto assenteisti. E il gip, accogliendo in parte le richieste della procura, un paio di settimane fa ha sospeso trentadue comunali dal servizio. Alcuni per quindici giorni, altri per un mese. E adesso la maggior parte di loro si sono rivolti al tribunale chiedendo l'annullamento di quel provvedimento che comporta un vuoto nella situazione contributiva e retributiva degli stessi indagati. Che, più in dettaglio, sono impiegati parte nell'ufficio tecnico, altri sono vigili urbani, altri ancora dipendenti civili del corpo di polizia municipale.
Il giudice due settimane fa ha disposto la sospensione dal servizio per quindici giorni nei confronti di una dozzina d'indagati e per un periodo di un mese per altri venti loro colleghi. Durata del provvedimento che varia in funzioni della presunta gravità delle singoli situazioni. Solo tre dipendenti sono rimasti fuori dallo stop forzato perché il gip, nei loro confronti, non ha ritenuto opportuno applicare la misura. Un'altra dipendente ancora - impiegata civile della polizia municipale - è uscita forzatamente dal dossier perché nel frattempo è deceduta.
Questo il quadro generale che alla spicciolata sta passando al vaglio del "Riesame" chiamato a vagliare gli appelli. Ieri per un assistito dall'avvocato Giuseppe Dacquì - sospeso dal servizio per quindici giorni - il tribunale era presieduto dal giudice Antonio Porracciolo. S'è riservato sulla decisione. Ma altri, in questi giorni, andranno all'esame dei giudici tutti per la stessa ragione: la richiesta di reintegro a lavoro. Con il conseguente colpo di spugna ai provvedimenti cautelari. Che in origine, secondo le richiesta della procura, per alcuni degli indagati sarebbero stati ancor più gravi.
Già, perché il sostituto Santo Di Stefano, per venti accusati aveva chiesto gli arresti domiciliari. Mentre per altri sedici era stata proposta la sospensione dell'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, che il gip Alessandra Giunta ha poi applicato a trentadue dei quarantacinque indagati.
Secondo la tesi accusatoria ufficialmente risultavano presenti in ufficio, ma in realtà non si sarebbero trovati lì. E si sarebbero favoriti a vicenda timbrando, a turno, il cartellino di altri colleghi. I fatti al centro dell'inchiesta vanno da novembre 2012 ad aprile dell’anno successivo.