CALTANISSETTA. Il loro mutismo si sarebbe trasformato in silente connivenza. Finendo per coprire chi avrebbe estorto loro denaro. Questo il quadro generale a carico quattro imprenditori ritenuti reticenti nei confronti dei quali è stata contestata l'ipotesi di false dichiarazioni rese al pm con l'aggravante di avere favorito la mafia. Imputazioni che pendono sul settantenne Salvatore Tumminelli (difeso dall'avvocato Davide Anzalone), l'ottantenne Giuseppe Pastorello (assistito dall'avvocato Salvatore Daniele il paternese Antonino Paponelli (assistito dall'avvocato Salvatore Caruso) ed il cinquantasettenne Gualtiero Riggio (difeso dagli avvocati Walter Tesauro ed Ernesto Brivido). Loro i quattro imputati che sei anni addietro non avrebbero dichiarato il vero rispondendo alle domande del pubblico ministero Alessandro Picchi che allora stava coordinando le indagini della maxi inchiesta su mafia e pizzo "Redde rationem".
Ieri, nei preliminari, il tribunale presieduto da Antonio Napoli (a latere Claudio Emanuele Bencivinni e Alex Costanza) ha sciolto la riserva in relazione alla richiesta che è stata avanzata dall'avvocato Anzalone (a cui s'è poi associato il resto del collegio difensivo) che ha chiesto la nullità di tutti gli atti nei confronti del proprio assistito, ritenendo che siano inutilizzabili. Perché allora gli impresari sono stati sentiti nella veste di persone informate sui fatti mentre, a margine di quegli stessi interrogatori, la loro posizione s'è trasformata in quella nettamente più grave d'indagati. E questo passaggio, secondo la difesa, avrebbe reso quelle dichiarazioni nulle. Teoria, questa, ribattuta dal pm Stefano Luciani. Il Collegio giudicante, ieri, ha deciso di tenere per il momento agli atti del fascicolo i contenuti di quegli interrogatori, riservandosi su una valutazione più a attenta al termine dell'istruttoria dibattimentale. Ora, su richiesta dell'accusa, il procedimento a carico dei quattro imprenditori passerà per la "verità" del collaboratore di giustizia Pietro Riggio. Sarà lui ad aprire il dibattimento per soffermarsi sullo scenario generale che, tra le pieghe dell'indagine madre, ha finito per lambire pesantemente anche le presunte vittime di richieste estorsive che con il loro atteggiamento remissivo, ma soprattutto con il silenzio, avrebbero finito per tendere una manco a chi li avrebbe taglieggiati. E tra coloro che avrebbero retto le file del sistema di pizzo controllato da Cosa nostra, vi sarebbe stato quel Pietro Riggio che sarà chiamato a ribadire in aula ciò che sa. Lui che nell'aprile scorso, in relazione al troncone principale d'inchiesta, ha ottenuto uno sconto di pensa per associazione mafiosa passando dai precedenti a quattro anni e mezzo di reclusione a quattro anni.
In questo dossier che ha tratto linfa dallo sviluppo dall'indagine principe, sono nel frattempo usciti altri nomi. E in più riprese. Già nella fase preliminare quattro nomi sono stati archiviati perché ai magistrati hanno poi fornito spiegazioni che hanno dissipato ogni sospetto su loro. Un altro ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato, mentre altri due, padre e figlio (difesi dall'avvocato Danilo Tipo) sono stati prosciolti, perché hanno spiegato ai magistrati che, allora, non sono usciti allo scoperto per timore di ritorsioni. Perché i loro estortori erano tutti in libertà. Adesso no. E hanno vuotato il sacco guadagnandosi il proscioglimento. Discorso aperto, invece, per loro quattro colleghi che passeranno per il dibattimento che si aprirà ad ottobre al cospetto del tribunale.
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