CALTANISSETTA. Imprenditore e liquidatore di una nota società sono stati chiamati sul banco degli imputati per operazioni finanziarie ritenute fosche. A cominciare da un sospetto occultamento di beni in magazzino, dopo la messa in liquidazione dell'azienda, per oltre un milione e duecentomila euro.Contestazioni che hanno tratto linfa da un'indagine della guardia di finanza.
Nel gran calderone dell'inchiesta il successivo ritrovamento e sequestro di un paio di conti correnti bancari, in due differenti istituti di credito della città, intestati allo stesso imprenditore finito poi sotto accusa e che erano stati sequestrati su disposizione del gip Lirio Conti.
Così, a carico del settantaseienne Francesco Paolo Mandalà (assistito dall'avvocato Giuseppe Panepinto) amministratore della «Mediterranea motori» e il sessantaseienne Calogero Giosué Carrubba (difeso dall'avvocato Calogero Buscarino), liquidatore della stessa azienda, è scattata l'imputazione per due differenti capi avanzati nei confronti di ognuno di loro.
Il primo legato a una presunta devalutazione per oltre un milione di euro delle giacenze di magazzino per occultare - secondo la tesi accusatoria - fondi. Il secondo relativo a pendenze con il fisco per poco meno di novantamila euro. Così da tradursi in reati di natura fiscale legati a una presunta maxi evasione e insolvenza. Ma adesso il giudice Antonio Napoli ha assolto entrambi gli imputati - in un caso sull'onda di un recente pronunciamento della Corte Costituzionale - per ragioni differenti. Perché «il fatto non sussiste» in relazione all'omessa dichiarazione di vendite per un milione e duecentomila euro e il conseguente versamento di Iva, che così sarebbe stato celato, per 289 mila euro.
Secondo la tesi difensiva, che ha trovato riscontro nel giudizio finale, le fiamme gialle non avrebbero tenuto conto di alcuni atti ed il quadro ne sarebbe uscito alterato. Mentre è perché «il fatto non costituisce reato» che sono stati giudicati non colpevoli per l'insolvenza. E le ragioni sono presto spiegate.
Il pronunciamento assolutorio, infatti, in quest'ultimo caso è figlio di una sentenza della Corte Costituzionale che ha innalzato a 103 mila euro il limite oltre cui il reato può essere contestato penalmente. Così da fare cadere nel vuoto l’ipotesi di reato legata a imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Nel caso specifico oltre 81mila euro dovuti per l'anno 2007. La seconda accusa mossa dalla procura, invece, è nata perché sarebbe stata simulata l'inesistenza di beni in giacenza alla fine dell'esercizio, mentre in realtà gli inquirenti hanno calcolato beni per quasi un milione e duecentomila euro. Così da fare scattare Iva per poco meno di duecentotrentamila euro.
I fatti finiti al centro del procedimento che si è appena chiuso, sono stati collocati dalla procura al 26 settembre di sei anni fa e, in concorso tra loro, hanno finito per fare tirare in ballo ex amministratore e liquidatore della società «Mediterranea motori».