VALLELUNGA. Nascoste in un canneto coltivava un migliaio di piante di marijuana. Questa l’accusa che pende su un giovane pastore vallelunghese domani chiamato in aula, al cospetto del giudice Antonio Napoli, per rispondere dell’ipotesi di coltivazione illegale ai fini dello spaccio. È il trentatreenne Loreto Castiglione (assistito dall’avvocato Danilo Tipo) scoperto e arrestato nel luglio dello scorso anno dalla guardia di finanza al termine di un’operazione coordinata. È solo sorvolando la zona, celata in un canneto sulle colline di Villalba, che le fiamme gialle hanno scovato la maxi coltivazione. Qualcosa come un migliaio di piante di cui, però, l’imputato fin dal primo momento ha sostenuto di non saperne nulla. L’operazione, scattata alle prime luci dell’alba del 4 luglio scorso, è stata curata dai militari del Gico del nucleo di polizia tributaria di Caltanissetta e del Reparto operativo aeronavale di Palermo. Dall’alto è stato possibile per gli investigatori scovare quelle piante che, secondo una stima poi effettuata dagli stessi inquirenti, avrebbe consentito di tirare fuori guadagni milionari. Arbusti alti un metro e mezzo, quelli scoperti dai finanzieri, peraltro sorretti da tutori e - sempre secondo la tesi accusatoria - serviti da un impianto d'irrigazione e concimati. E nel momento in cui le piante sono state notate dall’alto, è poi partita l’operazione a terra. Perché altri militari, fingendosi agricoltori interessati alla raccolte delle canne, si sono avvicinati in zona in maniera da non destare sospetti.
Ma da li a poco è scattato il blitz. Quello che ha consentito di scoprire la droga all’interno di quel canneto che si estende per un chilometro mezzo nel letto del torrente Belici. Per qualche ora i finanziarie si sono appostati fin quando non hanno ritenuto opportuno entrare in azione. E l’ora «X» è scoccata nel momento in cui il pastore s’è avvicinato a quell’area. E, secondo l’accusa, avrebbe avviato l’impianto d’irrigazione di quelle piante. Ma pure questo è un aspetto - come d’altronde l’intero impianto accusatorio - che l’imputato ha sempre respinto. Asserendo di non avere nulla a che fare con quella marijuana. Da cui - secondo la magistratura - una volta immessa nel mercato al dettaglio si sarebbero potuti ricavare guadagni per 3 milioni di euro.