NISCEMI. Da 37 anni chiedono, ma invano, allo Stato il riconoscimento dello status di vittima della mafia per il loro congiunto. Sono i familiari di Vincenzo Caruso, uno dei due carabinieri caduti, nella strage di contrada Razzà, in territorio di Taurianova, avvenuta il 1° aprile del 1977. Ora i parenti del militare niscemese - gli anziani genitori, il padre Mariano, 92 anni, la madre Maria Buccheri, di 85, e la nipote Lorena Lupo, che si è intestata questa nuova battaglia, figlia di Rosaria, sorella del militare caduto - si sono rivolti alla magistratura chiedendo allo Stato un risarcimento postumo, attraverso il fondo di rotazione, che riconosca al loro congiunto il titolo di "vittima dei reati di tipo mafioso". Lo chiedono a quello "stesso Stato che, stranamente assente nel processo di tuo fratello - scrive, Lorena, in una lettera alla propria madre, suicidatasi nel 2005 per la delusione di non avere ricevuto giustizia - si è costituito invece parte civile per i danni subiti da un'autovettura", quella di servizio dei carabinieri uccisi. A Vincenzo Caruso, medaglia d'oro al valor militare, civile e dell'Arma, fu intitolata la caserma dei carabinieri di Niscemi, inaugurata il 26 aprile del '90, ma il busto del carabiniere ucciso dall''ngrangheta, collocato all'ingresso, fu pagato dall'anziana madre che, dal giorno della strage, porta a piedi ogni giorno fiori alla tomba del figlio (e dal 2005 anche a quella della figlia Rosaria).
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