MAZZARINO. Uno patteggia la pena, altri due saranno giudicati con il rito abbreviato sempre per estorsione. Così, ieri, per due di tre distinti procedimenti che hanno preso le mosse da una costola dell’operazione antimafia «Cerbero». Tra le pieghe dell’inchiesta «madre», infatti, magistrati e carabinieri hanno squarciato i veli su un presunto giro di estorsioni.
E ieri il riesino Giovanni Giuseppe Laurino (difeso dall’avvocato Vania Giamporcaro) ha patteggiato la pena, in continuazione, a quattro mesi di reclusione e 450 euro di multa. Questo, passando per l’intesa della difesa con il pm Onelio Dodero, il pronunciamento emesso ieri dal gup Mariella Giannazzo nei confronti del collaborante.
Stessa inchiesta, ma procedimento con rito abbreviato (mentre altri sette imputati in ordinario sono stati già rinviati a giudizio) per il presunto reggente della stidda di Mazzarino, Gianpaolo Ragusa (difeso dall’avvocato Agata Maira) e Giuseppe Sanfilippo (difeso dall’avvocato Gaetano Giunta). Pure loro tirati in ballo per pizzo. E ieri il gup Giannazzo ha chiesto all’accusa di produrre documentazione legata al troncone d’inchiesta principale. Atti che sono tesi, peraltro, a verificare se la parte offesa, ovvero l’imprenditore del settore edile che avrebbe ricevuto richieste di pizzo, a quel tempo era pure indiziato. Perché tra le righe dell’ordinanza sarebbero emersi elementi ombrosi. L’impresario avrebbe fatto uso di droga, cocaina in particolare ed avrebbe incitato il suo fornitore «a spacciare e consumare stupefacenti... uno deve rischiare». Ma sotto il profilo estorsivo, secondo la tesi accusatoria, sarebbe stato nella mani della famiglia «stiddara» Sanfilippo. A loro avrebbe versato complessivamente qualcosa come cinquemila euro ogni sei mesi. Ma la parte lesa, secondo i magistrati, risulterebbe «persona a conoscenza delle dinamiche mafiose e dell’atteggiarsi dei mafiosi nei confronti degli imprenditori e questo non tanto dimostra inequivocabilmente che l’imprenditore sia persona affiliata o vicina, quanto l’essere sempre vissuto in questo humus». Un quadro, questo, che è stato tracciato tra le righe dell’ordinanza dell’operazione antimafia «Cerbero» emessa dal gip nel luglio di tre anni fa.
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