CALTANISSETTA. Salta fuori un nuovo indagato nella vicenda legata al sospetto sequestro di uno steward a scopo estorsivo. È un nuovo filone d’indagine parallelo, quello emerso ieri, ma che finisce per intrecciarsi con l’inchiesta «madre». È venuto a galla tra le pieghe dell’udienza preliminare che s’è aperta ieri - ma è stata subito cristallizzata per la nuova produzione dell’accusa - a carico del venticinquenne Eros Bruzzaniti (difeso dall’avvocato Dino Milazzo) fratello di un consigliere comunale, del salumiere cinquantacinquenne Antonino Ferraro (difeso dall’avvocato Sergio Iacona) e del giovanissimo collaborante Elia Di Gati (assistito dall’avvocato Vania Giamporcaro).
A loro il sostituto procuratore Giovanni Di Leo ha contestato l’ipotesi di sequestro di persona a scopo estorsivo. E su questo aspetto ha puntato l’indice la difesa, basandosi sulla decisione del tribunale del riesame che ha poi riqualificato il capo d’imputazione da sequestro di persona a scopo estorsivo - com’era già in origine - a sequestro semplice ed estorsione, entrambi aggravati dai metodi mafiosi. E questo è un aspetto su cui è stata chiamata a pronunciarsi la Cassazione.
I tre sono stati tirati in ballo perché accusati di avere tentato di estorcere denaro ad un trentaseienne, V.F, steward della compagnia aerea Ryanair. Inizialmente avrebbe sostenuto che nel settembre di cinque anni fa sarebbe stato preso a forza nel bel mezzo di una festa e poi condotto in casa sua dove i tre avrebbero tentato di farsi consegnare cinquemila euro.
Ma non più tardi di un paio di mesi fa la stessa parte lesa ha aggiustato il tiro. Attraverso una lettera aperta pubblicata poi online lo stesso steward ha tracciato un scenario rivisto, limando alcuni aspetti della precedente ricostruzione. Puntando sostanzialmente l’indice sul giovane collaboratore di giustizia che sarebbe stato indicato un po’ come l’artefice di tutto «ma altri gli stavano dietro», ha scritto lo stesso assistente della compagnia area. Che ha pure aggiunto «di non avere subito alcun aggressione fisica, le minacce ci sono state ma indirette, ovvero ci stavano altri dietro di loro appartenenti a Cosa nostra». Mentre per gli altri due imputati - secondo i contenuti della sua successiva ricostruzione dell’accaduto - avrebbe in qualche modo tirato via le castagne dal fuoco. Asserendo che «Di Gati cercò d’incendiarmi l’auto» e che Ferraro sarebbe intervenuto in favore della stessa vittima dopo una sua telefonata. E ha aggiunto altri particolari relativi alla consegna di soldi che sarebbero finiti a Di Gati - secondo la ricostruzione della stessa parte lesa - e che gli sarebbero stati consegnati da Ferraro insieme ad un computer.
L’onda lunga di queste affermazioni dello steward, affidate alla rete, hanno indotto la procura ad approfondire questo aspetto. E dalle nuove indagini che si sono sviluppate in questi ultimi due mesi, l’accusa sarebbe giunta alla conclusione che dietro la rivisitazione della prima ricostruzione potrebbero celarsi altre motivazioni. E in tal senso un quarto nome sarebbe stato inscritto nel registro delle notizie di reato, finendo al centro di un altro procedimento penale i cui atti, da parte del pm, sono stati affidati ieri al giudice David Salvucci.
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