CALTANISSETTA. È una scure pesante quella che pende sul suo capo: una potenziale condanna fino a vent’anni di carcere. Un rischio che corre perché accusato di avere sfruttato manodopera clandestina. Lavoratori in nero che avrebbe impiegato come braccianti nella sua azienda agricola. È il quadro accusatorio che pende sul cinquantaseienne Salvuccio Pirrello (difeso dall’avvocato Davide Anzalone) titolare di un’impresa, alle porte della città, che opera nel settore agricolo. Ora è chiamato al cospetto del tribunale (presieduto da Antonio Napoli) per rispondere di sfruttamento di extracomunitari. A rappresentare l’accusa è, adesso, il pubblico ministero Maria Carolina De Pasquale. È a parecchi anni fa che risale la vicenda, ma per tutta una serie di circostanze il fascicolo è stato chiuso diverso tempo dopo. Così da rallentare lo sviluppo processuale della storia. Che è frutto, da un punto di vista giudiziario, di un vero e proprio blitz effettuato in azienda dai carabinieri. E non per caso. Sarebbe stata una confidenza a dare l’input a quell’ispezione che poi ha riservato sorprese. Amare, molto amare, per l’imprenditore. Lì, nella sua azienda i militari avrebbero scoperto alcuni lavoratori che, in un primo momento, l’impresario avrebbe fatto passare come cittadini comunitari. Per cui, la vicenda, in tale ipotesi, sarebbe rimasta confinata in un caso di lavoro sommerso. Ma le indagini hanno svelato altro. Quei braccianti, oltre ad essere impiegati in nero, non facevano neanche parte della comunità europea. Erano cittadini albanesi. Da considerare, conseguentemente, come extracomunitari. Così da mutare radicalmente i contenuti della vicenda. Appesantendone, e non poco, i contorni. Perché si trattava di immigrati entrati clandestinamente nel territorio italiano. Da qui l’iscrizione del nome del loro datore di lavoro nel registro delle notizie di reato per sfruttamento. È la sintesi del quadro probatorio che la procura ha impiantato a carico di Pirrello. Lui che oltre una ventina di anni fa è stato lambito dalla maxi inchiesta «Leopardo». Ma il giudice lo ha tirato fuori dal quel dossier già in udienza preliminare, prosciogliendolo. Vi.F.