GELA. C’è una città che vuole riscattarsi. Che ha fatto passi da gigante in questi anni per scrollarsi l'etichetta di «mafia village» o la città dei baby killer. Luoghi comuni che a Gela sono oramai soltanto spunti per libri di cronaca nera. Ma se nella città del Golfo la mafia ha subìto colpi quasi letali e il racket sembra debellato in maniera totale, la microcriminalità non concede tregua. Furti in appartamento, rapine nei supermercati il sabato sera e in casa di anziani, scippi, spaccio di droga. È questa la frontiera del nuovo e nel contempo vecchio crimine, che usa giovanissimi senza arte né parte per seminare terrore. Questa volta però c'è una città più matura a rispondere. La gente non gira più la faccia dall'altra parte se è testimone di un reato. Collabora, annota e segnala. Qualcuno si è spinto anche oltre, mettendo una taglia sul ladro che aveva rubato i camion della sua azienda. La ricompensa? L'assunzione nella sua ditta. I gelesi sono cambiati ed hanno voglia di ribellarsi. Sabato scorso centinaia di cittadini, alunni di scuole elementari e superiori, comunità religiose, operatori del mondo del volontariato e politica sono scesi per strada in corteo. Hanno gridato la loro rabbia alla violenza e ad ogni forma di illegalità.
Hanno colpito la comunità gelese soprattutto le ultime morti di innocenti. Il 12 dicembre Teresa Pagano è morta per le lesioni provocatd da una rovinosa caduta a terra. Un balordo l'aveva buttata giù dalle scale per strapparle la borsetta. Il 5 marzo Grazia Iannizzotto venne uccisa da un infarto che la colpì mentre il marito provava a spegnere l'incendio doloso della sua auto.
«Perdonare chi ha provocato anche indirettamente la morte di mia madre? - dice Antonio Giudice, imprenditore e figlio di Grazia Iannizzotto – Potrei farlo, ma solo se vengono arrestati e messi in carcere. Non ho sete di vendetta, ma solo di giustizia. Sabato ha sfilato la Gela che non accetta la violenza e vuole ribellarsi».
Il presidente della Corte d'Appello, Salvatore Cardinale, nella relazione di apertura dell’anno giudiziario, ha parlato di «particolare allarme» a Gela per la criminalità minorile. Spesso sono minori già appartenenti a famiglie disagiate o affiliate ai clan. Si occupano di danneggiamenti e incendi di esercizi commerciali o di vetture e «contribuiscono a mantenere alta la pressione che l’associazione esercita sull’ambiente per preservare il suo predominio».
Quella che prevale è la «giustizia fai da te». Il Primo dirigente del commissariato, Gaetano Cravana, analizza il fenomeno. «Purtroppo abbiamo dovuto constatare che spesso ci troviamo davanti a vendette – dice - un modo tribale di farsi giustizia con le proprie mani per un presunto torto subito, per interessi, per una banale lite tra condomini o tra parenti, innescando a volte una catena di danneggiamenti tipo faida. A Gela – prosegue il funzionario di polizia - si può essere anche solo mandanti dell’incendio. Ci sono ragazzi pronti ad appiccare il fuoco per 50 o 100 euro».
Il procuratore capo di Gela Lucia Lotti va oltre. «Non servono azioni eclatanti ma risposte mirate per combattere qualsiasi forma di crimine – dice – Non basta avere un adeguato numero di forze dell'ordine o di giudici. È necessaria la presenza maggiore di investigatori, di telecamere di videosorveglianza, della collaborazione del corpo di polizia municipale e di una presenza nei quartieri. La prevenzione è fondamentale, così come il mondo della scuola e del volontariato e il ruolo della famiglia. La collaborazione è in effetti aumentata ma non è sufficiente. Per noi anche un indizio può diventare fondamentale per le indagini. Vorrei sottolineare che il disagio di Gela non è differente da quello di città importanti».
A volte sono le parole più semplici a colpire. Giulia Arancio, ottantenne, vive nella paura. «Da quando ci sono tutte queste rapine in casa di anziani vivo nel terrore – dice –. Eppure mi sento di parlare a questi giovani che commettono questi gravi reati. Vanno compresi e perdonati, ma la società civile deve aiutarli. Anche loro avranno gravi motivi per comportarsi in quel modo».
«Vogliamo vivere in una città migliore», hanno gridato i giovani di Gela. «Il futuro voglio costruirlo nella mia città – ha urlato sabato mattina una ragazzina di scuola media – Gela è una bella città. Non possono essere pochi balordi a rovinarla. Chi ha il dovere di aiutarci lo faccia, perchè altrimenti da qui dovremo andarcene. E io voglio restare».
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