Per i non addetti ai lavori vi sono ancora oggi argomenti – il digitale, l’intelligenza artificiale, gli algoritmi – che si pensa debbano appartenere al solo mondo della scienza più sofisticata e non debbano quindi allo stato interessarci se non per il mero piacere di apprendere e sapere ed invece sono temi che in un modo o nell’altro sono destinati, già adesso e sempre più nel futuro, ad interferire direttamente e nei modi più diversi con il mondo delle imprese e con le sfere giuridiche e gli interessi economici di ciascuno di noi privati cittadini sol che si attenda un provvedimento della pubblica amministrazione o si dipenda da un’impresa o si voglia acquistare qualcosa on line da soggetti con cui non abbiamo mai firmato un contratto nei modi tradizionali.
L’uomo non è più il solo a potersi dire intelligente, ad avere autonome capacità decisionali e, seppure non v’è stato alcun arrivo di intelligenze aliene sulla Terra, è tuttavia riuscito a far tanto… ad esempio a creare i robot che, una volta soltanto sussidio industriale, sono orami da tempo usciti dalle fabbriche ed hanno iniziato ad abitare altri luoghi, l’interno del corpo umano, il mondo sottomarino, lo spazio; ed è questa la sfida culturale, etica, giuridica e politica che la quarta rivoluzione industriale si porta con sé.
Serve dunque acquisirne consapevolezza ed avviare un viaggio nel futuro dell’umanità, tentando di capirne l’essenza, guardando appunto il «non-umano e tuttavia intelligente».
Sono tante, già adesso, le tecnologie fruibili nel nostro quotidiano, ma, intanto, desidero soffermarmi con qualche breve riflessione su una di esse, la blockchain, tecnologia affascinante della quale ci si può già servire in molteplici rapporti, non ultimi quelli commerciali, specie se internazionali: una sorta di database «distribuito» i cui dati non risiedono fisicamente in un unico sistema centrale, ma vengono distribuiti e suddivisi in molti computer in maniera condivisa: ciascun database è composto a sua volta da «blocchi» di transazioni e ciascun «blocco» è collegato al precedente, creando dunque - una catena insuscettibile di alcuna manomissione tant’è che, per farlo, bisognerebbe forzare tutti i record dei «blocchi» concatenati fra di loro.
Tracciabilità e sicurezza sono in effetti le caratteristiche che hanno reso famosa la blockchain, consistente in una sorta di registro pubblico che riesce, ed è quel che più conta, a dar vita ed a gestire rapporti condivisi ed immutabili che consentono alle parti di non sottostare ad alcuna intermediazione e di avere e dare garanzia circa la provenienza e le caratteristiche di quanto è oggetto dei rapporti.
Condizioni ed effetti, questi, tanto più utili ed interessanti se della Blockchain ci si serve anche per stipulare degli smart contract, veri e propri contratti dalle caratteristiche uniche ed irripetibili assicurate da questa tecnologia, grazie alla quale non esistono terzi che possano interferire, non c’è modo e spazio per le parti per alcuna attività interpretativa e meno che mai modificativa del contratto… al punto che diventa impossibile per chicchessia – che sia parte o terzo – finanche sospendere o impedire l’esecuzione del contratto stante che questa ha luogo automaticamente sì da rendere addirittura impossibile l’inadempimento: meno lavoro per i giudici nonché per noi avvocati utili per mettere a punto contenuti e clausole dei contratti ma non più per comporre contrasti divenuti impossibili.
Un diffuso ricorso alla blockchain, specie in considerazione della sua costante, ulteriore evoluzione tecnologica, produrrà intanto la «disintermediazione» delle figure che operano nei servizi nel settore pubblico con conseguente accorciamento delle filiere professionali con conseguenti vantaggi a privati, pubbliche amministrazioni ed imprese in termini di risparmi di tempi e di costi, e ne aumenteranno l’efficienza, favorendo in sostanza una diffusa semplificazione e velocizzazione dei rapporti.
Grandi vantaggi ne avrebbe, ad esempio, l’agrifood, potendosi grazie alla blockchain tracciare ed assicurare la «storia» e soprattutto la territorialità d’ogni singolo prodotto e dell’intera filiera produttiva (penso, ad esempio ai Distretti produttivi del vino e di altri prodotti agricoli finanziati dal pubblico), e in genere, qualunque altra impresa che voglia dei propri prodotti e manufatti attestare, nei vari mercati del mondo, l’origine... che sia italiana o di altri Paesi.
Può sembrare complicato ma non lo sarà affatto se si ricorrerà alle opportune assistenze i cui costi, in parte peraltro coperti da contributi pubblici, saranno più che compensati dai risparmi e dai successi.
Serve non aver paura del nuovo che – fra digitale, Bockchain, intelligenza artificiale ed altro ancora – avanza ed incombe e serve invece riconoscere l’inevitabilità, già attuale, della loro consapevole utilizzazione quale condizione del permanere e del crescere di ciascuno di noi, semplici cittadini o imprese o Pubblica amministrazione o sistema giustizia, nella quotidianità dei rapporti o nei mercati nazionali ed internazionali e comunque nelle diverse contingenze del nostro tempo: sono tutte scienze e tecnologie da conoscere e, soprattutto, da saper governare se non si vorrà semplicemente subirle con conseguenze davvero imprevedibili…
...rendiamocene conto per tempo ...con saggia intelligenza.
*Avvocato, già professore di diritto commerciale all’Università di Palermo
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