Una giunta di fratelli coltelli. Così titolavamo in prima pagina lo scorso 17 novembre, sopra ai volti sorridenti di Schifani & c. schierati al gran completo per la prima foto di rito, al debutto del nuovo governo siciliano. All'insegna di «unità e compattezza», garantiva lo stesso presidente, mai incline alla polemica urlata, dote ampiamente testata negli anni alla guida del Senato. Ma evidentemente anche un discreto incassatore, viste le tribolate ore trascorse a ridosso del varo del governo, fra faide interne al suo partito e diktat senza appello degli alleati. Da allora è trascorso appena un mese e mezzo e cresce la sensazione di ritrovarsi davanti a un vecchio padre saggio costretto a rincorrere i figlioletti discoli, un rimprovero qua e uno scappellotto là. Con non pochi malumori, confessati ai collaboratori più vicini e fidati, per le troppe iniziative portate avanti dagli assessori stessi a sua insaputa e scoperte solo dai titoli dei giornali o dalle telefonate dei cronisti. Il tutto al netto di un feeling mai nato con quel paio di nomi accettati per carità di patria e la cui permanenza prolungata è quotata a percentuali ormai irrisorie dai bookmakers dei corridoi della politica in salsa sicula. Al di là dei risultati più o meno sostanziali portati a casa, la sensazione di una giunta di governo non proprio monolitica si avvalora ogni giorno di più, in una sorta di costante e alla lunga deleterio tira e molla. L'ultimo plateale caso, il listone di progetti sulle energie rinnovabili che da tempo costituiscono campo fertile per le mire delle grandi aziende del settore. Capita che l'assessore Roberto Di Mauro congeli tutto per ulteriori controlli, proprio mentre l'ignaro Schifani si siede al tavolo con gli imprenditori e li rassicura sui tempi. Apriti cielo: rimbrotto infuocato e immediato dietrofront. E dire che Di Mauro era anche recidivo. Al capo della giunta non era affatto andata giù la primissima intervista dell'assessore, rilasciata a questo giornale, in cui metteva in dubbio la bontà dell'operazione termovalorizzatori, a suo dire troppo dispendiosa. E per questo Schifani non esitò poche ore dopo a dettare un comunicato stampa che andava esattamente nella direzione opposta, non mancando di confessare apertamente il proprio disappunto allo stesso Di Mauro e al suo dante causa Raffaele Lombardo. Eppure proprio a Di Mauro nei giorni scorsi Schifani ha dirottato la delega ai rapporti con l'Ars, che inizialmente era stata affidata a Falcone. Il motivo? Al presidente non era andato giù il ponte che il titolare della delega all’Economia aveva tentato di gettare con l'assemblea per un complicato varo della manovra prima di Natale, che avrebbe previsto fatalmente qualche compromesso di troppo. Ancora a sua insaputa. Così come a sua insaputa Falcone aveva annunciato tagli orizzontali fra assessorati sulla spartizione delle briciole della ex tabella H (5 milioni di budget a fronte di richieste per 46 milioni). Un grave errore, secondo il capo del governo, che vorrebbe invece puntare sul valore dei progetti, piuttosto che su una salomonica ed ecumenica spartizione del bottino fra sagre paesane e iniziative antimafia o sociali. Insomma, non proprio un comune e condiviso sentire, né un segno di armonia all'interno della giunta. Resta poi il caso limite dei due assessori «subiti» da Schifani per non fare torto al duo Meloni-La Russa. Di Elena Pagana al Territorio si attende ancora qualche cenno un gradino sopra l'evanescenza. Eppure anche in questo caso Schifani ha già avuto occasione di sconfessare il suo assessore, allungando a due mesi i tempi del bando per il rinnovo dei vertici della commissione tecnica (quella dei pareri su termovalorizzatori e affini), ben oltre i dieci giorni della formula iniziale, che di fatto avrebbe impedito un radicale cambiamento delle attuali figure. In quanto a Francesco Scarpinato, infine, rimane agli atti lo stupore misto a incredulità di Schifani davanti alla sua incauta richiesta di avere assegnato a capo del dipartimento turismo l'attuale ragioniere generale Ignazio Tozzo, l'uomo a cui il presidente ha affidato l'ingrato compito di portare fuori la Regione dalle secche del disastro economico. Al perentorio «non se ne parla», non è certo seguito un innamoramento fra le parti, con appendice di fine anno su qualche inciampo nella gestione della Fondazione orchestra sinfonica a Palermo. In attesa di capire quanto ancora potrà durare la convivenza fra Schifani e assessori mal tollerati, resta evidente la sensazione di una latente incomunicabilità all'interno del governo. Troppi cani sciolti da richiamare all'ordine o una precisa strategia politica a fini speculari? Lo dirà il tempo. Ma il fatto che un presidente debba - a torto o a ragione, un giorno sì e l'altro pure - turare le falle o stoppare le fughe in avanti dei suo assessori non foraggia certo quel senso di unità e compattezza che proprio Schifani garantiva in occasione dell'insediamento. Di una giunta di fratelli coltelli.