Normalizzatore forse. Attendista mica tanto. In poco meno di un mese dall'insediamento un vertice ministeriale per rimettere in pista il Ponte, un altro per salvare la Lukoil, la proclamazione dello stato di emergenza nel Trapanese e nelle altre aree colpite dai nubifragi di ottobre, una sforbiciata sui mutui Irfis per attutire il caro bollette, un primo giro di vite sul piano ospedaliero, l'istituzione di una cabina di regia per salvare i soldi del Pnrr.
Da oggi però Renato Schifani smetterà di soffrire (avrà sofferto davvero?) di solitudine nei palazzi della Regione. Con il battesimo d'aula e - si auspica - un'elezione senza troppi arzigogoli del presidente, il parlamento siciliano potrà iniziare il suo cammino, 46 giorni dopo il responso delle urne e al termine di uno scrutinio da tempi terzomondisti. Una nuova stagione si apre, nuovi equilibri, nuovi (e vecchi) volti. Un approccio pragmatico e scevro da romantiche utopie non induce ad attendersi rivoluzioni copernicane nel governo della cosa pubblica in Sicilia. La gestazione che ha preceduto l'apertura di Sala d'Ercole, del resto, rimanda ad ataviche abitudini, fra accordi alla luce del sole e trattative parallele, vertici clandestini e promesse sotto banco.
Alla nuova assemblea possiamo chiedere limpidezza nelle scelte e dinamismo nei propositi, ma saranno le prime votazioni a determinare la rotta. A cominciare proprio dalla successione di Micciché. Micciché permettendo, naturalmente. È ancora fresco il ricordo di una precedente legislatura progressivamente impantanatasi nelle faide di una maggioranza rissosa e di un'opposizione fin troppo liquida.
Le urne hanno consegnato al centrodestra numeri sufficienti per determinare il proprio destino e di conseguenza quello della Sicilia, con un centrosinistra chiamato a raccogliere i cocci sparsi dei propri tormenti. Con 40 deputati su 70 – e al netto del colpo sempre in canna delle imboscate da voto segreto – non dovrebbe essere difficile sostenere e supportare l'attività di governo. Non che i numeri del precedente quinquennio fossero molto diversi, eppure era finito tutto in malora. Paradossalmente, proprio i nuovi equilibri interni al centrodestra potrebbero alla lunga creare qualche grattacapo di troppo: meloniani e berlusconiani giocano alla pari (13 deputati ciascuno) e dunque la tentazione di un confronto muscolare può emergere da un momento all'altro, specie se indotto da eventuali parossismi romani. L'equilibrio poggia così sul ruolo che in aula potrà avere la Lega, ma soprattutto quello che fuori dall'aula assumeranno due generali di lungo corso come Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, con i rispettivi gruppetti tutt'altro che trascurabili di deputati. Resta poi da capire come si muoverà il contingente di esordienti di Cateno De Luca, che parte con l'aurea di opposizione a oltranza, ma che in questi giorni di vigilia è stato spesso accostato a possibili manovre a scavalco per approfittare di qualche falla di troppo nel non certo monolitico blocco forzista. Pd e M5S - 11 a testa – dovranno infine decidere se continuare a battibeccare a distanza o se invece assumere un peso specifico più rilevante in aula, adottando una qualche forma di dialogo oggi difficilmente pronosticabile.
Al di là delle forze in campo, uno solo rimane l'obiettivo futuro all'interno di uno scenario presente: la Sicilia è retrocessa a periferia marginale dello scacchiere politico, oltre che sociale ed economico, nazionale. E, prima di provare a recuperare posizioni, dovrà lavorare per provare a recuperare se stessa. Ci riuscirà la nuova Ars? Max Weber diceva che ci sono due modi di fare il politico: si può vivere «per» la politica oppure si può vivere «della» politica. Da oggi ne sapremo di più.
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