La Sicilia è ridotta a un gigantesco campo profughi. Le carrette del mare e le navi delle ong arrivano ovunque, da Lampedusa a Pantelleria, dalle Egadi ai porti del Ragusano e del Siracusano. Drammatiche transumanze umane, centri di accoglienza come bombe-carnaio ad orologeria. E tema migranti accantonato, derubricato a fastidioso polpettone da rifilare a chi verrà dopo.
I numeri degli ultimi giorni lasciano sgomenti: nelle 48 ore del week end appena trascorso la sola frontiera lampedusana ha registrato 64 sbarchi, per quasi 1.500 arrivi. Con un centro che potrebbe contenere 350 persone più o meno decentemente accolte e che invece straripa oltre quota 1.600. Qui come altrove arrivano dalla Libia, dalla Tunisia, a getto continuo, senza soluzione di continuità. Tutto ciò non è ancora sufficiente perché il caso non sia ancorato a mero oggetto di campagna elettorale cavalcato da una sola parte delle forze in campo ma torni centrale nello scenario italiano ed europeo attuale. Senza dover cioè attendere i nuovi equilibri post 25 settembre, tanto auspicati da alcuni e temuti da altri. E invece niente di niente. È vero, in carica c'è un governo depotenziato che ha pagato dazio alle bizze di qualche nano della politica e che non può fare altro che trascinarsi in un'ordinaria amministrazione che fa a pugni con le straordinarie emergenze di una congiuntura epocale sfavorevole. Si chiede da più parti a gran voce al governo Draghi, orfano di sostegno e legittimità parlamentare, di occuparsi degli aiuti alle famiglie e alle imprese, di supporto all'economia, di politiche di reddito e di rilancio, di gestione di delicati equilibri internazionali che poggiano sulle fragili fondamenta di una guerra senza senso e di interessi finanziari giganteschi. Oltre che di situazioni capestro determinate dall'incapacità ultradecennale di scelte di prospettiva che ci costringono a stare oggi attaccati alla canna del gas. Senza che peraltro il gas ci corra più dentro. Tutto vero, del resto l'autogol della più surreale crisi di governo della storia repubblicana veleggia ancora sulle cronache, in attesa di essere consegnata alla storia di questo Paese.
Però il vulnus c'è, eccome. Perché di reali e concrete politiche di gestione dei flussi di migranti non ne abbiamo praticamente mai più sentito parlare in termini di impegno concreto e prioritario da quando, tre anni fa, Salvini cessava la sua turbolenta e tormentata esperienza da ministro dell’Interno. Da allora pochissime volte abbiamo visto e sentito Luciana Lamorgese esporsi in maniera netta e decisa sul tema. A Roma come a Bruxelles. La questione migranti si è involuta ad argomento marginale, imprigionato nell’inedia. Una questione molto siciliana. E dunque poco italiana.
I risultati si sono visti: sbarchi, sbarchi e ancora sbarchi, qualche scafista arrestato, qualche farlocco respingimento alla frontiera, ong - ruolo, genesi e bandiera dovranno prima o poi diventare un serio argomento di definizione e riflessione– in totale libera uscita (ed entrata). E decine di migliaia di poveracci a cui – quando non se li inghiotte prima il mare – l'Italia (anzi la Sicilia e la Calabria) apre i porti, li stipa negli hotspot, li sposta qua e là come palline da flipper e poi li perde di vista, abbandonandoli al proprio destino, spesso malevolo o molesto. È questo il concetto di accoglienza con cui ci purifichiamo le coscienze e ci iscriviamo al partito delle anime buoniste? A Salvini ministro possiamo contestare un approccio forse un po' troppo marziale al tema, ma almeno ha posto la questione. E altrettanto aveva iniziato a fare prima di lui il suo predecessore Marco Minniti, non proprio della sua stessa parrocchia ideologica. Fu proprio quest’ultimo a varare il codice di condotta per le ong che, tra le altre cose, vietava alle navi in questione di entrare nelle acque territoriali libiche, quando la Libia era una terribile polveriera socio-politica. Il Pd, il suo partito, per questo lo ha masticato, digerito (con qualche difficoltà) e smaltito senza remore. Amen. E negli ultimi tre anni il nulla.
Oggi, in campagna elettorale, sentiamo Salvini dire che vuole riproporre i suoi provvedimenti o la Meloni teorizzare blocchi navali che non abbiano matrice militare ma diplomatica. Sono proposte. Comunque proposte. Che pongono il tema. Mentre la sinistra tace... o anzi no: bisogna accogliere, perché «l'Italia è un paese che accoglie». Peccato che non lo ha mai fatto. L'Italia è solo un Paese che riceve, stipa, sposta e abbandona. Che può essere comunque un'alternativa perfino migliore per migliaia di poveri cristi in fuga dalla disperazione. Ma è anche la soluzione ideale per un'Europa di partner poco propensi a cooperare, sia essa l'Ungheria di Orban o la Francia di Macron. Tanto più se nessuno glielo chiede, figurarsi pretenderlo. Vista da Bruxelles, la Sicilia è lontana, dall'altra parte della luna. Ancora di più quelle croste di roccia di Lampedusa, Marettimo o Pantelleria, sparse nel Canale rosso sangue. Della tragedia e della speculazione. Della morte e dell'indifferenza.
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