Da una Elisabetta all’altra. Col rischio non remoto che dopo il presidente del Senato, anche il capo dei Servizi segreti si schianti contro veti di partito e agguati d’aula. E con un’aggravante: se il flop di ieri è tutto del centrodestra, oggi sarebbe trasversale. Visto che a Letta («Sono ottimista, preliminari finiti»), Salvini («Lavoro per una donna in gamba») e Conte («Finalmente una donna») hanno subito fatto da contraltare il no di Renzi, il niet di Forza Italia, il nein di Leu, il não di pezzi di Pd. Siamo punto e a capo? Non è detto. La convergenza numerica potrebbe anche trovarsi, se solo le segreterie controllassero i gruppi d’aula. Cosa finora improba. La giornata di ieri è stata paradigmatica. Il disastro tattico del centrodestra ha molteplici spiegazioni: la prova di forza sulla poco empatica Casellati, l'avallo del doppio scrutinio giornaliero, la sottovalutazione dei franchi tiratori. E pure il ruolo di king maker per Salvini, non il più eccelso dei mediatori. Anche se a sua parziale scusante c’è il fatto che - a vivisezionare il quinto scrutinio, prima del sesto, utile solo per l’ennesima ondata d’affetto su Mattarella – lo smottamento dei voti per la Casellati sarebbe stato tutto dentro Forza Italia. In particolare nell'ala governativa dei berlusconiani, impaurita anche dall'effetto tsunami minacciato dal centrosinistra nel caso in cui si fosse raggiunto il quorum. Almeno questo si sono affrettati a sottolineare lo stesso Salvini e la Meloni. Una resa dei conti interna alla (ex?) coalizione, che ha riportato le bocce al punto di partenza, bruciando la seconda carica dello Stato. Mentre sull'altra sponda hanno continuato a restare passivamente seduti sulla riva del fiume. Non proprio la più produttiva e costruttiva delle tattiche. C’è di buono che ora ci si comincia a parlare. Salvini ha incontrato prima Draghi e poi si è seduto allo stesso tavolo con Letta e Conte. Sul nome del premier si potrebbe ancora trovare una convergenza estrema, ma a questo punto alzi la mano chi potrà garantire per quei tanti parlamentari che con Draghi al Colle rischiano di andare anzitempo a casa con un biglietto di sola andata. I chiari di luna non aiutano. Neanche quelli per un rapido e pacifico rimpiazzo a Palazzo Chigi. Alternative? Le solite da giorni. Le uniche da sempre. Casini e Mattarella. Il primo è il compromesso di una politica che fa sintesi. Il secondo è la panacea di una politica che invoca l'approdo sicuro per non naufragare. Adesso irrompe la Belloni. Nell’Italia della politica che abdica al suo ruolo e si consegna ai tecnici, può succedere perfino che il presidente della Repubblica lo si vada a cercare nei Servizi segreti…