Venerdì 22 Novembre 2024

Il balbettio dei leader, il placcaggio dei peones

Qui ormai non si tratta più di provare a tirarlo per la giacchetta. Siamo passati all’abbarbicamento, al placcaggio rugbistico. Mentre le segreterie si attorcigliano nel tentativo di raggiungere l’irraggiungibile - cioè un accordo su un candidato di chiara espressione di parte - la base d’aula, quella che opera di pancia e che più di tutti rappresenta oggi l’humus popolare, sta prepotentemente bussando alle porte di Sergio Mattarella. Il crescendo rossiniano dei consensi nei quattro scrutini chiusi con fumata nera riveste una duplice fondamentale importanza. Primo punto: Mattarella resta il miglior presidente della Repubblica possibile, se solo volesse. Secondo: o i big si decidono a chiudere l’estenuante gioco dell’oca, oppure il loro potere di controllo sui peones va a farsi benedire. Solo che di decisioni alle viste neanche l’ombra. Salvini giura che entro oggi si chiude, ma se arriva in aula con il nome di Frattini, la frittata è fatta: magari la sessantina di voti che mancano al centrodestra per raggiungere il quorum li beccano qua e là (difficile, comunque). Ma un nanosecondo dopo, il Paese piomba in una crisi politica e di governo che sarebbe difficilissima da gestire e quasi impossibile da risolvere. Chissà, perfino con un sorrisino di compiacimento che possa arrivare direttamente dal Cremlino. E di questi tempi la cosa conforta poco. A proposito di Putin (e del suo percorso), può anche raccogliere consensi trasversali il nome rispettabile e impeccabile di Elisabetta Belloni, ma inquieta non poco che si debba andare a pescare nei servizi segreti per scegliere il Capo dello Stato. Insomma, il gioco delle diplomazie è tutt’altro che esaurito, ma allo stesso tempo per nulla risolutivo. Berlusconi sente Draghi al telefono e spiana la strada per un incontro de visu fra il premier e Tajani. Disgelo e poco altro. Conte non si sa bene come e con chi abbia trascorso il lungo pomeriggio. Probabilmente a ricordare ai suoi che sono parte di un partito (chiamatelo pure movimento, che tanto quello è) e non un gruppo di discoli adolescenti in libera uscita. Salvini e Letta devono incontrarsi ma finiscono per non incontrarsi mai. La Meloni si irrita per il diktat sull’astensione (che almeno ha però tenuto unito il centrodestra) e sotto sotto prepara un altro blitz alla Crosetto. Renzi se la gode da matti, con le sue metafore a go go (stavolta è toccato a X Factor), che magari gli fanno pure superare lo scorno per il passaggio di Vlahovic alla Juventus. Ma, alla tirata delle somme, siamo nel pieno del vortice, senza ancora una rotta d’uscita. Oggi si ricomincia. Riproporre il «consolato» Mattarella-Draghi resterebbe la manovra più comoda per districarsi dall’ingorgo dei veti e controveti. Ma al presidente uscente qualcuno dovrà pur andare espressamente a chiederlo. «Ora abita a un paio di km da Montecitorio, ci si può andare facilmente a piedi», scherza - ma non troppo - il socialista di lungo corso Riccardo Nencini. Solo che i big in affanno non ne hanno la forza nè il coraggio, temendo un probabilissimo due di picche. Le truppe però respirano i desideri del Paese. Sicuri che bisogna continuare a non tenerne conto?

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