E così mentre in mezza Italia ci si balocca sul coprifuoco alle 22 o alle 23, sul pass per le vacanze digitale o cartaceo, sul metro indoor o il doppio metro open per pranzi e cene fuori casa, a Palermo e in un'altra cinquantina di comuni siciliani si dovrebbe continuare a poter uscire dal portone condominiale solo ed esclusivamente per quei famosi «motivi validi». Che vanno dal lavoro alla spesa, dalle cure mediche alla scuola (ma solo fino alla prima media, il resto abbastanza a fantasia) fino a... qualche altra decina di giustificazioni, più o meno credibili. E dovranno tenere le saracinesche abbassate tutti i negozi, tranne praticamente... quasi tutti. Mentre bar e ristoratori devono continuare ad arrangiarsi con la burla dell'asporto (vedere per credere ciò che succede al mattino all'ora della colazione, di pomeriggio all’ora del caffè o la sera all'ora di cena). E intanto si passeggia serenamente nelle isole pedonali e dintorni, magari a stretto contatto con vigili urbani e altri uomini in divisa, scenograficamente dislocati qua e là, a tentare - ma neanche troppo - di ficcare il ditino nella falla del Titanic. Lo diciamo da tempo e continuiamo a ripeterlo: una zona rossa così concepita è vana tanto quanto beffarda. Un puro esercizio accademico. Uno snocciolamento di nozioni teoriche che rappresentano solo un pilatesco detergente per chi le detta, più che un concreto deterrente per chi le subisce. «Purchè non sia la solita farsa», titolavamo in prima pagina lo scorso 7 aprile, all'alba rossa di Palermo. Una settimana dopo è diventata rossa l'intera provincia (compresi quei piccoli centri in cui di Covid hanno poco più che sentito parlare). Oggi la città si vede mostrato nuovamente il cartellino rosso per una «squalifica» di altri sei giorni, mentre la provincia viene spacchettata. Con scelte ai limiti dell'esilarante: è rossa San Cipirello ma non San Giuseppe Jato (divise da un marciapiede), è rossa Cinisi ma non Terrasini (divise da un binario). Mentre nel Nisseno esce da una serrata lunga oltre un mese Caltanissetta. Ma ci entra adesso Gela. Un puzzle che si compone e ricompone con cadenza quotidiana. È chiaro, lo sappiamo, ogni singola scelta è ponderata e valutata, in un crogiolo di parametri cui concorrono numero di abitanti, numero di casi, focolai, posti letto ospedalieri e via discorrendo. Un criterio molto matematico, asettico, spesso neanche troppo logico, né immediatamente comprensibile. Ma comunque un criterio. Il problema però e duplice: la derogabilità e l'applicabilità. Fattori che ne determinano, essi sì più di ogni altro, la reale efficacia. Qui vengono le dolenti, molto dolenti, note. Il lockdown – quello vero, duro, totale – di un anno fa, fu una bastonata severa al dipanarsi delle nostre vite quotidiane. Ma almeno riduceva al minimo sindacale le deroghe, rendendolo dunque applicabile e magari anche efficace, pur se non certamente risolutivo. Adesso siamo invece a un ibrido che genera figli e figliastri fra le varie tipologie commerciali (ma sono davvero così tante quelle essenziali?), colpisce senza remissione di sorta interi settori (la cultura non è essenziale, no...) e detta talmente tante eccezioni sui singoli comportamenti, che finisce per disarmare i divieti stessi e chi li dovrebbe far rispettare. La passeggiata pomeridiana in via Ruggero Settimo – tanto per restare al paradigmatico esempio palermitano – è stata solo appena scalfita dalla mannaia rossa. Controllare una per una decine di migliaia di persone a piedi, in bici, in monopattino, in moto, in auto? Ci prendiamo in giro. Affidarsi solo al loro buonsenso civico? Sì, ci prendiamo decisamente in giro. Certo, la maledetta curva dei contagi da queste parti non tende affatto a calare, le vaccinazioni pagano un prezzo salatissimo alla psicosi e a un'organizzazione non propriamente scintillante, i comportamenti di molti restano più che censurabili e le pressioni politiche e associative inducono a qualche diplomatica concessione. La quadra è complessa, molto complessa. Ma, suvvia, davvero Palermo - e non solo Palermo – è stata concretamente rossa negli ultimi 15 giorni? E mentre si dettano blocchi alle attività economiche, cosa si fa per sostenerle? Lo ha detto perfino il sindaco Leoluca Orlando in una intervista a questo giornale non più tardi di 48 ore fa, lui notoriamente non tenero in materia, né in inossidabile sintonia con le organizzazioni datoriali: «È assurdo che abbiamo lavoratori con la cassa integrazione e nulla per gli imprenditori. Non ce n'è uno che abbia finora ricevuto tanto quanto i suoi dipendenti. E quando finirà la crisi cosa succederà? Se nel frattempo le imprese falliscono, si ritroveranno tutti sulla strada». Bene (si fa per dire). E allora cosa andiamo a raccontare a quei tanti imprenditori onesti e responsabili che devono tirare giù la saracinesca o anche solo lasciarla a mezza altezza, se nel frattempo nessuno controlla, nessuno vigila, nessuno rispetta e i divieti finiscono per diventare acqua versata in uno scolapasta? Il discorso è ovviamente estendibile all'intera Sicilia. Da giorni i numeri di nuovi contagi ci collocano fra le tre-quattro regioni peggiori d'Italia e la transizione in zona gialla appare al momento chimerica. Anche se la pressione ospedaliera è meno forte che altrove e il numero di tamponi eseguiti è tutto sommato alto rispetto alla media nazionale, segno che comunque il Covid lo andiamo a cercare più di altri. Oggi ne sapremo di più. Ma a occhio e croce il 26 aprile delle ripartenze non sarà roba nostra. Certamente non a Palermo. Nel frattempo l'esasperazione generale rimane, anzi cresce, sintomo di cui non si può non tenere conto, mentre ci si approssima a un'estate che per la nostra anemica economia è da sempre vitale. Ecco perchè non basta ballare fra l'arancio made in Palazzo Chigi e il rosso made in Palazzo d'Orleans per scollinare oltre i picchi pandemici. Provvedimenti sì. Ma seri, coerenti, rigidi ed efficaci. Se rosso deve essere, che rosso sia. Totale e marziale. Il rossetto è solo un trucco. Nemmeno più tanto utile, nell'era delle mascherine anti Covid.