C’è una linea, peraltro neanche tanto sottile, che demarca il confine tra la realtà e la percezione. Vale per le temperature e per la colonnina di mercurio – pensate ad esempio a quelle giornate torride in cui il termometro segna 40 gradi ma a pelle sembra che siano una sessantina – ma vale anche per la sicurezza.
Perché oltre alle statistiche e alle classifiche che servono solo a riempire gli annuari e a scatenare le reazioni di amministratori e oppositori, c’è poi un capitolo a parte relativo ai disagi realmente percepiti. All’effetto deterrente che un buon impianto di illuminazione svolge nei confronti di spacciatori e di altri piccoli criminali, alla necessità di avere non solo luci ma anche riflettori puntati su zone altamente degradate, alla possibilità di muoversi tranquillamente a piedi o con l’auto senza rischiare di imbattersi in uno scippatore o di finire dentro una buca. E se è vero, come sostiene il Comune, che tra le grandi città d’Italia Palermo è la più sicura (lo certifica anche l’Istat), è altrettanto vero che mantenere questo primato è sempre più un’impresa che sfida ogni giorno le leggi della fisica e della statistica.
In quella realtà che non è solo narrata o percepita, noi intravediamo una città che ha chiuso il suo anno da capitale della cultura con numeri importanti, con un inaspettato boom di turisti e con una ripresa dell’economia che ruota attorno alla ricettività, ma senza riuscire a scrollarsi di dosso le mille emergenze che da sempre la caratterizzano. Fuori dal centro (e in particolare da alcune strade del centro), tutto è drammaticamente periferia, nel senso più ampio del termine. Ogni giorno registriamo una grave recessione dei servizi essenziali, dai rifiuti ai trasporti, passando per i cimiteri, la cura del verde, le fognature, i cantieri, la segnaletica, i marciapiedi... Continuiamo a raccontare emergenze infinite fronteggiate con soluzioni tampone. Pale meccaniche usate contro le discariche che ogni mese tornano a riempire le strade, invasi costretti a sversare milioni di metri cubi d’acqua a mare perché la rete e le vasche non reggono il peso degli anni e delle rotture, strade che si allagano per mancanza di fognature.
Nello specifico, la Palermo che arranca su tutto il panorama dei servizi, ha un sistema di illuminazione inesorabilmente vecchio e deve affidarsi a un’azienda che non ha più le risorse nemmeno per riparare i singoli guasti. Per adeguare gli impianti servirebbero 118 milioni. Una cifra enorme per un bilancio falcidiato dai tagli e per il quale la giunta è costretta a fare i conti perfino coi centesimi.
Ma una cifra che è cresciuta, negli anni, anche e soprattutto per mancanza di progettazione e lungimiranza. Forse perché una strada al buio non scatena la stessa rabbia o la stessa indignazione di una strada allagata o invasa dai rifiuti. O forse perché una soluzione a lungo termine non solletica le ambizioni di una classe politica concentrata un po’ troppo sul consenso e un po’ meno su quello che alla fine garantirebbe pochi voti subito, ma un futuro migliore a tutti.
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