Giovedì 19 Dicembre 2024

I meriti di Tria e... la triade

Loro non cederanno alla tentazione di affacciarsi trionfanti al balcone di Palazzo Chigi. E però il risultato appena portato a casa ha un valore ben superiore di quell’ormai fatuo 27 settembre. Un risultato dettato dal buonsenso e dalla logica della comunanza europea. Loro sono il premier Conte, i ministri Moavero e Savona e soprattutto il cassiere del governo, Giovanni Tria. Quest’ultimo non a caso l’ancora calata dal Quirinale giù dal battello gialloverde nelle acque tempestose del confronto con la Ue. Mentre loro tessevano la difficile tela a Bruxelles e placavano i furori a Roma, i due vicepremier Di Maio e Salvini continuavano a mostrare i muscoli in pubblico, provando ad arginare i mugugni della base elettorale. Ma intanto cominciavano ad abbozzare in privato, comprendendo che il crollo delle Borse, la crescita dello spread, il calo di fiducia delle imprese, la fuga verso l’estero di capitali e investitori non erano una trama politica ordita da non ben definiti poteri forti, ma una drammatica realtà con cui fare i conti. Dalla manovra del balcone a ieri abbiamo vissuto un vorticoso giro di valzer di 83 giorni, durante i quali l’Italia e gli alleati europei sono arrivati a un punto di rottura senza precedenti. Nel momento più critico, mentre Tria sopportava stoicamente strali e sbeffeggiamenti e non cedeva alla facile tentazione di salutare la compagnia e tornare alla sua carriera accademica, al suo fianco ha trovato il premier Conte, paziente e metodico, nonostante l’ingombrante presenza dei suoi due vice, intenti a battibeccare a distanza su parecchi contenuti del documento finanziario. A completare il quadro i rapporti diplomatici internazionali di Moavero, maturati soprattutto grazie al curriculum costruito negli anni dei governi Monti e Letta. E, in extremis, perfino la redenzione di Savona, il ministro antieuropeista dell’ormai storico no di Mattarella, che al tavolo del governo ha rivisto le sue teorie sull’equazione deficit-crescita, facendo cadere i residui dubbi di Salvini e Di Maio. I quali ieri non sedevano accanto a Conte, mentre quest’ultimo relazionava in Senato. Difficile credere alla casualità. Di certo, quello zero galeotto che fa diventare 2,04% l’iniziale 2,4% di deficit non è solo una trovata mediatica da dare facilmente in pasto a chi mastica poco di temi economici, ma sposta notevolmente gli equilibri. Oltre a dieci miliardi di euro. Andando a intaccare, almeno temporalmente, le due architravi del contratto pentaleghista: reddito di cittadinanza e quota 100. E quando questi entreranno pienamente in vigore che succederà? Dove si recupereranno le risorse? Facendo scattare le clausole di salvaguardia che porterebbero all’aumento dell’Iva, come candidamente prospettato (e paventato) ieri da Dombrovskis? L’interrogativo rimane, tanto quanto la cautela dell’Europa (i riflettori sul Bel Paese non si sono certo spenti) e soprattutto le preoccupazioni delle imprese, ancora in attesa di chiari e concreti segnali di sostegno e supporto dal governo romano. Che invece al momento sembra intenzionato a racimolare risorse sforbiciando energicamente la politica degli investimenti. Nel frattempo, però, il clima si rasserena, le borse respirano, lo spread si sgonfia. Anche se parecchi denari sono andati in fumo e parte del conto si pagherà sui nuovi mutui. Da Palazzo Chigi si affrettano a precisare che non c’è stata alcuna concessione sui contenuti e sostanzialmente così può essere. È il peso specifico di quegli stessi contenuti che però muta al ribasso. Possiamo considerarlo un nuovo inizio, improntato al clima di cooperazione necessario per guidare il Paese verso una crescita oggi ferma. Toccherà a Salvini, ma ancora più a Di Maio convincere le proprie truppe che il braccio di ferro con l’Europa sarebbe stato suicida. Anche il tanto auspicato e sventolato cambiamento necessita di accordi e compromessi. Bisognava andare al governo per capirlo. Bisognava scontrarsi con l’Europa per comprenderlo. Bisognava avere Tria e quella triade lì per iniziare a codificarlo. Anche se loro non li vedremo mai esultare a un balcone.

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