A chi conviene una sanità senza medici? Perché si rimane inerti davanti a un paradosso che fa a pugni, oltre che con la logica, anche con la frustrazione di migliaia di giovani che a quella professione vorrebbero accedere, ma sembra si faccia di tutto per impedirglielo? E perché sembra non preoccupare nessuno – in un Paese in cui i livelli occupazionali rimangono ancora a distanza siderale dagli standard europei – il fatto che ci sono più posti che aspiranti? O che le Asp i futuri medici – come gronchi rosa – li vanno addirittura a prenotare nei corsi di specializzazione prima ancora che ne escano formati e preparati? Nella stagione accademica in cui diventa maggiorenne l’obbrobrio del numero chiuso (un milione di ragazzi vedrà frustrate le proprie ambizioni universitarie), il sistema appare gravemente compromesso. Mentre le aziende sanitarie, dalle Alpi a Pantelleria, cercano disperatamente pediatri, medici generici, ginecologi, anestesisti, ortopedici, geriatri, 67 mila studenti si sono ritrovati nei giorni scorsi a dover discettare su frattali e pain au chocolat per contendersi i 9700 posti nelle facoltà di Medicina e chirurgia. Uno su sette ce la farà e peraltro solo pochissimi fortunati potranno seguire le lezioni nelle facoltà delle proprie aree di residenza. Gli altri si arrangino. Non basta: in Italia si formano comunque ogni anno circa 10 mila medici, ma l’offerta di specializzazione non supera i 7 mila posti. E per questo almeno 1500 laureati se ne vanno ogni anno all’estero. Se si considera che formare un medico per sei anni di università costa circa 150 mila euro alla collettività, ne deriva che ogni anno l’Italia spende 225 milioni di euro per regalare potenziali alte professionalità ad altri Paesi (e stiamo solo parlando dei giovani, al netto di big e luminari, anch’essi sempre più spesso con biglietto di sola andata) . Intanto nei prossimi cinque anni 45 mila medici andranno in pensione, un numero che nel 2028 salirà oltre quota 80 mila. Ancora: per i medici di base le borse per il corso di formazione in medicina generale messe a disposizione sono oggi circa 1.100 all’anno. Ciò significa che entro il 2028 saranno stati formati 11 mila potenziali medici di famiglia, a fronte dei 34 mila che se ne andranno. Ergo, nei prossimi 5-8 anni 14 milioni di italiani potrebbero ritrovarsi senza medico di base. Un tourbillon di numeri nel quale rischia di perdersi e affondare l’intero sistema sanitario nazionale. Anche perché, come riconoscono gli stessi sindacati di categoria, contemporaneamente fioccano le dimissioni volontarie di medici che non sopportano più le condizioni disagiate dovute al blocco del turnover, preferendo andare a rifugiarsi nelle aziende private. Così, i superstiti devono sobbarcarsi spesso turni pesantissimi, sempre che naturalmente non si imbocchi la facile via della riduzione delle prestazioni o della soppressione dei servizi. Il ministero, le Regioni, le Università sciorinano dichiarazioni d’intenti e buoni propositi, convocano conferenze di servizio, varano palliativi, annunciano rivoluzioni. Poi tutto però rimane invariato. A cominciare – eccolo, il peccato originale – dalla italica storiaccia del numero chiuso (medicina e non solo). Che da 18 anni ormai va avanti – fra valanghe di ricorsi e non pochi errori - con la più o meno tacita complicità degli ordini professionali che traggono vantaggio dal basso numero di laureati; con quella tutt’altro che tacita dei baroni e dei rettori universitari, che in questi anni hanno fatto di tutto per avallare questo sistema; con le azioni di retroguardia dei governi che hanno messo in campo periodiche politiche di smantellamento; con, perché no, il sostegno pieno delle case editrici specializzate, che sui manuali di preparazione ai test e ai vari corsi di formazione hanno basato buona parte dei propri fatturati. Mentre decine e decine di migliaia di ragazzi, carichi di entusiasmo e di aspettative, inciampano su test assurdi e cervellotici. Provate per esempio a inserire i due numeri mancanti nella sequenza 2-3-7- 13-27-x-x. Se ci riuscite potreste diventare un buon matem… ehm, no, un buon medico. Forse. Perché poi ci sono ancora i frattali e il pain au chocolat…