Sarebbe piaciuto a Papa Francesco un prete come Pino Puglisi. Un prete «povero che voleva una Chiesa per i poveri». E che 25 anni fa versò il suo sangue sul marciapiede sotto casa, come il buon pastore che non fugge davanti ai lupi per difendere il gregge. Il sacerdote conosceva «l’odore delle sue pecore» (altra splendida espressione del Papa) e sapeva dove cercarle: nei vicoli sporchi, nei tuguri senza fogne. Amava gli «scarti» della società, come i migranti che Francesco è andato a commemorare a Lampedusa, primo viaggio in Sicilia e in assoluto, all'alba del suo Pontificato rivoluzionario e (forse proprio per questo) tanto discusso. Un magistero che invita ogni giorno a creare una Chiesa «ospedale da campo» che riconosca nel volto dei poveri e dei sofferenti il volto stesso di Cristo. La scelta di padre Puglisi era di una povertà vissuta con consapevolezza francescana e non ostentata ma evidente a tutti. Non aveva conto in banca, viveva in una casa popolare in affitto piena solo di libri (oggi diventata un museo ed è probabile che Bergoglio vada a visitarla), aveva una mal ridotta Fiat Uno rossa, comprata al mercato dell'usato. Il suo stipendio di insegnante serviva a pagare il mutuo che era stato acceso per acquistare la palazzina del centro Padre Nostro. Ciò che rimaneva era diviso per i mille bisogni dei suoi parrocchiani. Aveva il serbatoio dell’auto sempre pieno (per poter accorrere dove era necessario il suo aiuto, anche di notte). E il suo frigorifero invece era sempre vuoto. Ma la Provvidenza si manifestava immancabilmente sotto forma di un piatto caldo offerto da un vicino di casa o da una coppia di amici. In caso contrario padre Pino mangiava scatolette. Anzi, mangiava «nelle» scatolette, senza neanche versare il contenuto nel piatto (così – spiegava - risparmiava tempo). E che emozione nel leggere delle abitudini alimentari di Bergoglio a Buenos Aires: anche lui mangiava scatolette… E ora, in Vaticano, a volte guida una vecchissima R4 bianca, uguale a quella che aveva in Argentina. E si può fare ancora un parallelo con quanto detto da Papa Francesco: ha invitato i sacerdoti a «consumare la suola delle scarpe». Padre Puglisi morì con le scarpe rotte. Gli amici che videro il suo corpo riverso per strada ricordano ancora quelle suole bucate. E dire che il sacerdote, figlio di un calzolaio, avrebbe saputo ripararle, quelle scarpe vecchie. Ma il suo tempo era tutto donato agli altri, non lasciava per sé neanche quei pochi minuti necessari per risuolare i suoi consunti mocassini. Padre Pino, sconosciuto sacerdote di periferia, in silenzio, lontano dalla ribalta, a Brancaccio radunava i ragazzini e li portava al Centro Padre Nostro. Riuniva i volontari e andava al Comune o dal prefetto per chiedere una scuola media, strutture sportive, servizi sociali. E diceva, con semplicità: ciò che è un diritto non si deve chiedere come un favore. A tutti proponeva i valori cristiani dell’amore e della solidarietà, alternativi a quelli mafiosi della violenza e della sopraffazione. Con grande coraggio e coerenza il sacerdote mise alla porta gli organizzatori di feste pseudo-religiose che costavano decine di milioni di lire («Qui la gente muore di fame e queste vostre idee non c'entrano nulla con la religione»). Cambiò il percorso della processione per evitare «l'inchino» davanti al balcone della casa dei fratelli Graviano e fece fermare, invece, la Vara di San Gaetano davanti alle umili case degli ultimi. Stesso destino per i politici collusi che utilizzavano la parrocchia come grancassa elettorale («Con quale faccia vi presentate qui dopo quello che avete fatto a questo quartiere, dove non c'è niente per i bisogni delle persone...?»: così li apostrofò una volta). Rifiutò offerte da imprenditori complici dei mafiosi, organizzò manifestazioni per ricordare Falcone e Borsellino. Santità e legalità andavano quindi di pari passo, a Brancaccio. Non solo: analizzando le sue conferenze, i suoi interventi emerge una analisi acuta e profetica dell'essenza della mafia: «Malgrado tutte le sue mimetizzazioni, si tratta di una cultura e di una mentalità antievangelica e anticristiana, addirittura, per tanti aspetti, satanica: essa falsa termini che indicano valori positivi e cristiani come famiglia, amicizia, solidarietà, onore, dignità, li distorce e li carica di significati diametralmente opposti a quelli cristiani». Solo anni e anni dopo i vescovi, con documenti ufficiali, sono arrivati su queste stesse posizioni a proposito degli «inchini» delle processioni e dei severi giudizi sulla mafia, definita incompatibile col Vangelo (quanto cammino rispetto ai silenzi e alle sottovalutazioni della Chiesa negli anni '50, '60 e oltre!). Per questa sua opera instancabile di evangelizzatore ed educatore dei giovani, padre Pino fu ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. Gli assassini hanno «odiato la sua fede». E il sacerdote è diventato la prima vittima della criminalità organizzata a essere martire della Chiesa cattolica. La grande festa della beatificazione risale proprio a cinque anni fa, 25 maggio del 2013, sul prato del Foro Italico, davanti a 80 mila persone. Probabilmente sarà proprio lì che Bergoglio ne farà memoria. Il 15 settembre 1993 è un punto di svolta. Per arrivare alla proclamazione del martirio è stato infatti necessario stabilire che i mafiosi (col rito di affiliazione, la «punciuta») rinnegano il loro battesimo cristiano ed entrano a far parte di «un'altra religione», in cui il Padrino ha preso il posto del Padre. Il martirio di 3P ha finalmente gettato fuori dal Tempio i mafiosi. Ha spazzato via tutti gli equivoci alimentati ad arte dagli stessi «uomini d’onore» con il loro armamentario di santini, bibbie annotate e finte pratiche cristiane. Quindi, nel momento in cui i boss eliminano padre Puglisi, sono equiparabili ai nazisti che fanno morire di fame padre Kolbe, ai popoli africani che trucidano i missionari, ai miliziani dell'Imperatore di Roma che faceva uccidere nel Colosseo i primi cristiani che non lo adoravano. Duemila anni dopo, è toccato al mite padre Puglisi incontrare sotto casa le belve, all’apparenza più umane, ma non per questo meno feroci. Subito dopo la beatificazione, domenica 26 maggio 2013, Bergoglio ha parlato all’Angelus, invitando i mafiosi (e le mafiose) alla conversione: «Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto, con Cristo risorto».