Levategli, coloro che potete, una storia che non è la loro. Levategli il passato. E dateli così in pasto al marasma, alla confusione, al caos della inconsistenza identitaria. Toglietegli le mostrine, insomma. Dopo la morte di Riina impedite la continuità quando è velleitaria e obbligate gli aspiranti epigoni a sapersi figli bastardi di nessun padre e di madre ignota, diteglielo che hanno una genetica fasulla.
Levategli, suvvia, la mafia dal certificato di famiglia storico. Non importa che essi si ingegnino a scopiazzare le gerarchie del passato. Essi non ne possiedono il dna poiché nelle informazioni genetiche della sua nota spirale mancano le molecole della società siciliana, manca la Sicilia con la sua accettazione. Diteglielo che vi sono frasi d’uso che truffano e inceppano il capire; diteglielo che quando si parla con superficialità di atteggiamento mafioso in strada, in ufficio, a scuola, si compie un errore semantico, di contenuti, che detto così sembra lieve, ma è grave e irresponsabile.
Diteglielo che abbiamo preso pessime abitudini, un po’ per posa e un po’ per interesse. Abbiamo chiamato mafia ogni arroganza, ogni violenza, ogni azione criminale, ogni organizzazione tra delinquenti. E che sappiamo che ciò ai destinatari piace, gli dà adrenalina per continuare, per moltiplicare le azioni e i loro effetti. Gli dà volontà di potenza. E ditegli che le conseguenze di ciò che accadrà saranno ancora peggio del passato. Per la loro bestiale ansia di vittoria rischiamo la camorrizzazione della Sicilia, basata sul rapporto tra forze violente e sulla miseria. Né le restanti sacche di mafia siciliana potranno opporsi, frastornate come sono dalla nuova antropologia civile degli ultimi trent’anni.
Dite ai criminali organizzati che non sono mafia, umiliateli così e perseguitateli. Oggi sono più pericolosi di sempre e la camorrizzazione della Sicilia è alle viste ed è anche nella penna inconsapevole di taluni che tra una passeggiata in bicicletta e una pagina bianca preferiscono scrivere irreflettutamente, per ribadire la propria penna. Vecchie vanità su biciclette nuove.
Invece squaglia uomo, squaglia. Lascia il pupazzo di neve che ti si è congelato addosso. Matura. Fatti il favore di cogliere il sole della ragione, difenditi e compra un metro da tasca, quello dei sarti. E così misura per misura torna a combattere il nemico reale. Ma prima trovane, usane e insegnagli il suo nome senza storia, senza veri antenati. Umilialo così e forse si sentirà un po’ ridicolo, con meno carisma e quindi con meno potere. Nella superbia siciliana essere ridicolo è come il morire della natura dominante dell’individuo: la rappresentazione di sé. Credersi un mafioso senza vederselo riconosciuto rende ridicolo, arrabbiato e quindi meno razionale, pericoloso ma più aggredibile. Sapersi un mafioso senza esserlo fa di un criminale un camorrista sanguinario.
Caricamento commenti
Commenta la notizia