A settembre Francesco La Licata ne La Stampa di Torino lamentava un silenzio assordante sui temi della mafia ai primi passi della campagna elettorale siciliana. Ora lo possiamo rassicurare. È trascorsa più di una settimana dall’approvazione della riforma del Codice antimafia e ancora non sono sopite nel dibattito pubblico le aspre contese tra chi considera la nuova legge «un obbrobrio giustizialista» per aver esteso ai reati di corruzione sequestro e confisca e chi invece la considera «un regalo al Paese». Certo, si tratta di una polemica di caratura nazionale che in quanto tale non riguarda solo la Sicilia. Anche se, per la verità, oltre alla novità dei reati di corruzione (scelta che anche chi scrive ha criticato dalle colonne di questo giornale), la riforma contiene altre misure inedite che potrebbero migliorare la vita di una parte consistente della popolazione siciliana. Ad esempio, forse pochi sanno che grazie a una modifica al Codice antimafia (art. 54 bis) d’ora in poi gli amministratori giudiziari potranno pagare più presto molti creditori delle aziende sequestrate, cioè senza aspettare i tempi lunghi delle verifiche richieste sul loro conto. Pensiamo ai fornitori, piccoli e grandi, di un centro commerciale o di un’impresa edile colpiti da un sequestro antimafia. Paradossalmente, sono i creditori a rischiare la loro attività pur essendo estranei al coinvolgimento del loro debitore in vicende di mafia, perché prima di questa riforma non potevano ottenere il pagamento delle forniture se non a esito di una complessa procedura e senza alcuna certezza sui tempi. Così come pochi sanno che adesso le aziende colpite da una interdittiva antimafia emessa dal Prefetto, hanno la possibilità di chiedere, spontaneamente, al Tribunale competente di essere ammesse al nuovo istituto del «Controllo giudiziario» (art. 34 bis). Una misura che una volta applicata non determina lo spossessamento gestorio a carico dell’imprenditore (come il sequestro) e bensì sospende immediatamente gli effetti dell’interdittiva, assicurando al contempo un sostegno, una sorta di vigilanza prescrittiva mediante un tutor di nomina giudiziaria per aiutare quell’impresa a rimettersi nel mercato dell’economia. Di tutto questo se n’è parlato poco in Italia e in Sicilia, e intanto sarebbe importante che i cittadini ne sapessero qualcosa. Quindi per il dibattito su mafia e antimafia non è tanto importante che se ne parli, comunque. Quanto, invece, che se ne parli bene: «Le quantità si disputano lo spazio, le qualità si integrano», predicava un grande teologo del novecento. E siccome siamo alla vigilia di una visita in Sicilia della Commissione antimafia presieduta dall’On. Bindi che ha per scopo di individuare i c.d. «impresentabili» nelle liste elettorali, avanziamo qualche piccolo suggerimento per evitare che si alzi il solito polverone, quella ridda di polemiche all’ultimo sangue che finiscono per confondere i cittadini e allontanarli dalla cabina elettorale. Il primo suggerimento è forse superfluo, ma non si sa mai. Visto che un vice presidente della Commissione antimafia è anche candidato alla presidenza della Regione Siciliana, ci si aspetta che non partecipi a queste attività. Sarebbe sgradevole vederlo nella doppia veste di controllore e controllato. Il secondo è più generale: faccia di tutto, la Commissione, per non ingenerare l’illusione nei cittadini che l’etica pubblica e la buona politica si risolvano in un casellario giudiziario immacolato. E faccia di tutto anche per non accreditare quella vera e propria barbarie anticostituzionale che i cittadini indagati o sotto processo vengano additati alla pubblica opinione come dei colpevoli. Terzo e ultimo suggerimento, forse il più difficile da accogliere: e se oltre alle funzioni censorie di cui la Commissione si è caricata in materia elettorale, si provasse a fare anche un po’ di buona politica? E cioè, ad esempio, sollecitare i candidati alle elezioni siciliane ad elaborare proposte che abbiano a che fare con un’antimafia efficiente e con le competenze della Regione siciliana? Proviamoci, on. Bindi: la Sicilia deve liberarsi dei mafiosi e dei loro amici, ma deve anche imparare a governarsi bene. Di questo abbiamo bisogno.